JUVE, QUANT’È BELLA L’ATALANTA LAZIO, IL K.O. PUÒ PESARE IL DOPPIO
Juve, Dea grazie! I bianconeri sospirano e applaudono l’Atalanta, la Lazio resta ferma sui blocchi. È falsa ripartenza per Immobile e compagni: nella corsascudetto perdono terreno e
scivolano a meno quattro. Il ribaltone subito a Bergamo dagli inseguitori incide sulla volata per il titolo non soltanto per il distacco aumentato, ma per come è maturato. La Lazio s’era illusa, l’1-2 avrebbe annichilito chiunque. I ragazzi di Gasperini, però, esibiscono la grande bellezza anche in situazioni al limite e la traducono in imprese. Dài e dài, con la loro tela, ormai diventata un marchio internazionale, avvolgono una squadra che sferra mazzate terribili, ma non il k.o. definitivo. E alla fine si meritano il posto che occupano. Il torneo è lungo e si surriscalderà, comunque Inzaghi e i suoi hanno buttato via una preziosa occasione per insidiare la corazzata di Sarri. I rimpianti di Bergamo potrebbero lasciare scorie dure da smaltire. Brava l’Atalanta a non cedere mai, Mola mia come ai tempi bui di piena pandemia: rosicchia due punti all’Inter, che si complica la vita in casa, e tiene a distanza la Roma, che con due colpi al volo di Dzeko sconfigge la Sampdoria.
Nel primo intero turno della ripartenza della A, l’effetto sottovuoto produce curiose cifre. Nove delle dieci squadre ospiti hanno segnato almeno un gol: fa eccezione l’Udinese, lasciata a secco dal Torino, capace di ritrovare il gusto del bottino pieno. Sono cinque le vittorie fuori casa: il fattore campo viene attenuato, tutto sommato non c’è da sorprendersi. Come non c’è mai da stupirsi quando di mezzo c’è l’Inter. I punti in palio restano 33, numero sempre affascinante quando si evocano miracoli, non solo a Milano. Senza esagerare, però, soprattutto in casa nerazzurra. Conte a ragione pretende dai suoi di rompere le scatole sino alla fine. Ma a chi? Innanzitutto non a loro stessi e al loro condottiero. Anche ieri nel vuoto di San Siro sono riaffiorate, sino a lasciare i lividi, le pulsioni autolesionistiche del gruppo interista, le stesse che hanno compromesso la semifinale in Coppa Italia a Napoli, con la rete decisiva incassata su una distrazione da torneo Allievi, e il finale da batticuore contro una Sampdoria dominata in lungo e in largo. Stavolta è andata persino peggio, in un pirotecnico 3-3. Conte deve tenere tutti sulla corda: da qui ad agosto la traversata nei deserti degli stadi è lunga, non si può appoggiare soltanto sui 14-15 titolari. Ecco il perché dei cinque cambi rispetto alla formazione di domenica scorsa. Il Sassuolo domenica ne ha prese quattro dall’Atalanta, però resta sfrontato. In biancoverde gli emiliani somigliano al Celtic, che agli interisti di lunga data ricorda la finale di Coppa dei Campioni persa nel 1967, epilogo dell’epopea di Helenio Herrera. Più che alle suggestioni, l’Inter deve comunque badare ai suoi passaggi a vuoto. I ragazzi di De Zerbi recitano un canovaccio piacevole, senza mai buttare via un’iniziativa: vanno incoraggiati. Gli interisti invece devono capire che cosa vogliono fare da grandi. Nonostante la gialappata di Gagliardini e il rigore maldestro offerto da Young, strappi il vantaggio a 4’ dalla fine. Conte ti implora di giustiziare l’avversario, e tu che t’inventi ancora? All’89’ fai recitare a Magnani la parte da protagonista in “Inter difesa aperta”. Film già visto, puro neorealismo nerazzurro. E la rimonta, la rimonta? Per la solita pazza Inter rimane genere fantascienza.