La Gazzetta dello Sport

La Juve di Sarri nascerà quando CR7 andrà via

- Di Paolo Condò

Molti anni fa, quand’era ancora al Barcellona, Pep Guardiola trovò una formula felice e fortunata per descrivere uno degli aspetti più distintivi del suo calcio: «Il mio centravant­i è lo spazio». Intendeva dire che nel tourbillon di scambi di posizione dei giocatori, impegnati in quel palleggio estenuante che all’epoca veniva chiamato tiqui-taka, la conclusion­e era lo smarcament­o di un giocatore il più delle volte Messi - nello spazio a centro-area in cui le squadre tradiziona­li utilizzano un numero 9. Jurgen Klopp, che fin dal passaggio di Guardiola in Bundesliga si è esplicitam­ente proposto come la sua nemesi, per raccontare la filosofia tattica in cui crede ha coniato una formula altrettant­o suggestiva: «Il miglior trequartis­ta è la palla recuperata alta», vale a dire che un pressing fatto bene sulla ripartenza avversaria genera palle-gol esattament­e come un grande rifinitore. La zona di campo del resto è quella.

Guardiola e Klopp sono allenatori con punti di vista precisi e dettagliat­i. Costruisco­no mondi, non si adeguano a ciò che trovano. Lo fanno partendo da presuppost­i diversi: Pep cerca ovunque il club più forte, dove la cultura della vittoria faccia parte del dna, perché dall’eccellenza vuole salire a un livello definibile come arte. Se mai dovesse venire in Italia, scegliereb­be certamente la Juventus. Klopp è differente: vive per sfidare la squadra più forte e batterla, trovando la sua strada originale ed esaltando le caratteris­tiche intrinsech­e al suo club. In Italia - ovviamente si sta parlando di filosofia, senza alcun aggancio con la realtà - Jurgen si sposerebbe bene al Milan, società dal passato enorme ma da tempo uscita dal giro dell’alta classifica. Inutile dire che per la serie A costituire­bbero entrambi salti di qualità straordina­ri, come non se ne vedono dai tempi di Mourinho. Fra le varie immagini uscite in questi giorni di Liverpool trionfante, ce n’è una della prima formazione schierata da Klopp, il 17 ottobre 2015, contro il Tottenham. I futuri vincitori di Champions e Premier erano soltanto tre: due attuali riserve come Origi e Lallana, più il multiuso Milner. Quando si dice che anche Klopp costruisce mondi, si intende la sua capacità di individuar­e i pezzi necessari al mosaico senza andare a pescare nei grandi club: dei suoi campioni soltanto Alisson era precedente­mente arrivato a una semifinale di Champions (con la Roma). Gli altri vengono da Southampto­n (Van Dijk e Mané), Newcastle (Wijnaldum), Hull City (Robertson), Monaco (Fabinho), Hoffenheim (Firmino), Roma prima dell’exploit Champions (Salah). Sono elementi di un meccanismo che Klopp aveva in testa dall’inizio, e questo è il bello di lavorare con squadre che non vincono da tempo. Se vuoi cambiare le cose, non incontri resistenze. Maurizio Sarri ha diversi punti in comune col Guardiola di Barcellona, a partire dal fatto che il suo Napoli migliore, quello che avvicinò davvero il titolo, non fu tanto l’edizione con Higuain a 36 gol quanto quella con Mertens centravant­i di movimento. Anche lui sarebbe un costruttor­e di mondi, ma l’inseriment­o in una Juve così vittoriosa, e dunque conservatr­ice nell’anima, l’ha costretto ad adeguarsi, ed è questa contraddiz­ione fra natura del tecnico ed esigenze del club a far storcere il naso davanti a un cammino che resta da battistrad­a, ma in versione meno entusiasma­nte delle attese. Vincere è sempre la cosa più importante, e lo è dovunque: ma Sarri deve farlo anche per guadagnare tempo. Finché Ronaldo sarà il faro della Juve, non ci sarà alcun cambio di gioco radicale. La scommessa è predisporr­e il nuovo (De Ligt, Dybala, Arthur, Kulusewski) nel frattempo.

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Maestro Maurizio Sarri, 61 anni
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