La Juve di Sarri nascerà quando CR7 andrà via
Molti anni fa, quand’era ancora al Barcellona, Pep Guardiola trovò una formula felice e fortunata per descrivere uno degli aspetti più distintivi del suo calcio: «Il mio centravanti è lo spazio». Intendeva dire che nel tourbillon di scambi di posizione dei giocatori, impegnati in quel palleggio estenuante che all’epoca veniva chiamato tiqui-taka, la conclusione era lo smarcamento di un giocatore il più delle volte Messi - nello spazio a centro-area in cui le squadre tradizionali utilizzano un numero 9. Jurgen Klopp, che fin dal passaggio di Guardiola in Bundesliga si è esplicitamente proposto come la sua nemesi, per raccontare la filosofia tattica in cui crede ha coniato una formula altrettanto suggestiva: «Il miglior trequartista è la palla recuperata alta», vale a dire che un pressing fatto bene sulla ripartenza avversaria genera palle-gol esattamente come un grande rifinitore. La zona di campo del resto è quella.
Guardiola e Klopp sono allenatori con punti di vista precisi e dettagliati. Costruiscono mondi, non si adeguano a ciò che trovano. Lo fanno partendo da presupposti diversi: Pep cerca ovunque il club più forte, dove la cultura della vittoria faccia parte del dna, perché dall’eccellenza vuole salire a un livello definibile come arte. Se mai dovesse venire in Italia, sceglierebbe certamente la Juventus. Klopp è differente: vive per sfidare la squadra più forte e batterla, trovando la sua strada originale ed esaltando le caratteristiche intrinseche al suo club. In Italia - ovviamente si sta parlando di filosofia, senza alcun aggancio con la realtà - Jurgen si sposerebbe bene al Milan, società dal passato enorme ma da tempo uscita dal giro dell’alta classifica. Inutile dire che per la serie A costituirebbero entrambi salti di qualità straordinari, come non se ne vedono dai tempi di Mourinho. Fra le varie immagini uscite in questi giorni di Liverpool trionfante, ce n’è una della prima formazione schierata da Klopp, il 17 ottobre 2015, contro il Tottenham. I futuri vincitori di Champions e Premier erano soltanto tre: due attuali riserve come Origi e Lallana, più il multiuso Milner. Quando si dice che anche Klopp costruisce mondi, si intende la sua capacità di individuare i pezzi necessari al mosaico senza andare a pescare nei grandi club: dei suoi campioni soltanto Alisson era precedentemente arrivato a una semifinale di Champions (con la Roma). Gli altri vengono da Southampton (Van Dijk e Mané), Newcastle (Wijnaldum), Hull City (Robertson), Monaco (Fabinho), Hoffenheim (Firmino), Roma prima dell’exploit Champions (Salah). Sono elementi di un meccanismo che Klopp aveva in testa dall’inizio, e questo è il bello di lavorare con squadre che non vincono da tempo. Se vuoi cambiare le cose, non incontri resistenze. Maurizio Sarri ha diversi punti in comune col Guardiola di Barcellona, a partire dal fatto che il suo Napoli migliore, quello che avvicinò davvero il titolo, non fu tanto l’edizione con Higuain a 36 gol quanto quella con Mertens centravanti di movimento. Anche lui sarebbe un costruttore di mondi, ma l’inserimento in una Juve così vittoriosa, e dunque conservatrice nell’anima, l’ha costretto ad adeguarsi, ed è questa contraddizione fra natura del tecnico ed esigenze del club a far storcere il naso davanti a un cammino che resta da battistrada, ma in versione meno entusiasmante delle attese. Vincere è sempre la cosa più importante, e lo è dovunque: ma Sarri deve farlo anche per guadagnare tempo. Finché Ronaldo sarà il faro della Juve, non ci sarà alcun cambio di gioco radicale. La scommessa è predisporre il nuovo (De Ligt, Dybala, Arthur, Kulusewski) nel frattempo.