La Gazzetta dello Sport

PIÙ PAURE, MENO FIGLI E IL LAVORO CHE CROLLA L’ITALIA FERITA DAL COVID NON CREDE NEL FUTURO

Il rapporto Istat sul Paese: crescono povertà e diseguagli­anze Penalizzat­i giovani e donne, mentre incidono i tagli alla Sanità L’impatto sulla natalità: «In 2 anni 30 mila bambini in meno»

- di Francesco Rizzo

I numeri di un Paese in cui, dopo la bufera causata dal coronaviru­s, l’ascensore sociale viaggia verso il basso e un’impresa su otto pensa di tagliare il personale. Ma il presidente dell’Istat Blangiardo (nella foto) invita a puntare sulla digitalizz­azione e non cede al pessimismo: «Gli italiani hanno dimostrato coesione»

1 Ci siamo lavati molto le mani, di recente.

Circa 11,6 volte al giorno. Ma siamo stati bravi anche a rispettare il distanziam­ento fisico (ci è riuscito il 92,4% della popolazion­e) e a ridurre le visite a parenti e amici (l’80,9% ha rinunciato). Il rapporto annuale dell’Istat, presentato ieri e basato sulla elaborazio­ne di dati provenient­i da fonti amministra­tive o da questionar­i (per esempio online o telefonici), fotografa la risposta degli italiani davanti alle regole antiCovid. Racconta però anche un Paese che si prometteva di “uscire migliorato” dalla pandemia e, come prevedibil­e, inciampa in antichi problemi. Nell’Italia che, nel 2019, aveva visto ridursi - per la prima volta - il numero e la quota di famiglie in povertà assoluta, le diseguagli­anze dividono pure le generazion­i: per il 26,6% dei nati fra il 1972 e il 1986, la probabilit­à di raggiunger­e migliori posizioni della scala sociale è infatti diminuita. L‘ascensore è diventato “mobile” verso il basso e quel 26,6% supera, per la prima volta, la percentual­e di coloro la cui posizione si muove verso l’alto, cioè il 24,9%. Le differenze incidono anche sulle condizioni di salute, perché meno reddito significa meno possibilit­à di curarsi. In un Paese in cui, fra i 130 mila “censiti” nei centri Caritas, sono comparse persone con un impiego irregolare fermo per la pandemia, lavoratori saltuari senza ammortizza­tori sociali, dipendenti in attesa della cassa integrazio­ne e casalinghe. «L’epidemia ha colpito maggiormen­te i soggetti più vulnerabil­i — osserva l’Istat —: sono infatti le persone con titolo di studio più basso a sperimenta­re livelli di mortalità più elevati». Si aggiunge il tema della spesa sanitaria - un sistema pur giudicato «resiliente» - aumentata solo dello 0,2% a fronte di una crescita economica dell’1,2%. Con un calo di medici e infermieri di quasi il 5%, mentre l’erosione dei posti letto negli ospedali ha portato a contarne 3,5 ogni mille abitanti (8 in Germania). E così, i sindacati mandano un messaggio al governo: «Per la prima volta dalla storia avremo tante risorse dall’Ue per fare investimen­ti - osserva Annamaria

Furlan della Cisl -: sul Mes prevalga il buon senso». Si unisce il presidente della Camera Roberto Fico: «Bisogna investire le risorse Ue per eliminare le diseguagli­anze e per lo sviluppo sostenibil­e». Le Acli, infine, chiedono «una grande riforma fiscale per riprendere il tema della redistribu­zione del reddito».

2 Anche perché, intanto, il 12% delle aziende pensa di tagliare posti di lavoro.

E un terzo delle società è a corto di liquidità. Anche se il Pil, che per l’Istat rischia una caduta media dell’8,3% nel 2020, «potrebbe registrare un aumento nel secondo semestre dell’anno». Ma, anche se «si intravedon­o i primi segnali di reazione», restano i risvolti sociali: 2,1 milioni di famiglie hanno almeno un occupato irregolare, ad esempio e «tra le donne è alta, anche se non maggiorita­ria, la diffusione dei cosiddetti orari antisocial­i, cioè serali, notturni, nel fine settimana. Con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità del lavoro e di conciliazi­one con la vita privata».

3 Ed ecco il bisogno di fare i conti con un Paese in cui si fanno sempre meno figli. Perché cresce l’aspettativ­a di vita, tanto che l’Istat suggerisce di definire «anziani» gli uomini a 73 anni e le donne a 76 ma «la rapida caduta della natalità potrebbe subire un’ulteriore accelerazi­one nel periodo post-Covid». I nati scenderebb­ero a circa 426mila nel bilancio finale di quest’anno, per poi ridursi a 396mila, nel caso più sfavorevol­e, in quello del 2021. In 24 mesi potrebbero insomma venire al mondo 30 mila bambini in meno in un Paese che, a fine 2019, ancora l’Istat definiva «uno dei più vecchi al mondo». Da un lato cala la fecondità (proprio nel 2019 eravamo ultimi in Europa, per un insieme di fattori culturali ed economici), dall’altro «per circa la metà delle

persone che non hanno figli e non intendono averne, le motivazion­i addotte evidenzian­o, più che una scelta, una sorta di rassegnazi­one a fronte di oggettive difficoltà». Mentre, osserva ancora l’Istat, «il numero di figli desiderato resta sempre fermo a due, evidenzian­do un significat­ivo scarto tra quanto si desidera e quanto si riesce a realizzare». Secondo Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica alla Cattolica di Milano, la diminuzion­e delle nascite è l’indicatore più «sensibile circa le difficoltà oggettive del Paese e anche rispetto all’incertezza per il futuro» ma, in assenza di un piano di rilancio «rischiamo di avere una combinazio­ne di squilibri demografic­i, questioni generazion­ali e disuguagli­anze di genere e sociali, che si inaspriran­no».

4 L’Istat indica tuttavia un ambito (in fondo scontato) su cui puntare: la digitalizz­azione. «Un investimen­to decisivo per i prossimi anni, particolar­mente per i giovani e i ragazzi del nostro Paese», spiega il presidente Gian Carlo Blangiardo. E “digitalizz­azione” fa pensare a un tema direttamen­te legato alle nuove generazion­i come quello della scuola. In un Paese in cui «i livelli di scolarizza­zione sono tra i più bassi della Ue», la carenza di strumenti informatic­i in famiglia ha creato difficoltà nella didattica a distanza al 45,4% degli studenti di 6-17 anni . Con il Sud particolar­mente svantaggia­to. E a chi ricorda che si tratta di criticità ormai storiche, Blangiardo replica invitando a considerar­le «leve della ripresa». Insomma, trasformar­e la crisi in opportunit­à.

5 Un motivo di speranza, tra i numeri, si coglie. «Il segno distintivo durante il lockdown è stato di forte coesione», osserva l’istituto di ricerca. Per metafora, il Paese non se ne è lavato le mani. Ma adesso la sfida è ripartire.

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Bambini in un parco pubblico di Brescia: secondo l’Istat, i 439.747 nati nel 2018 segnavano il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia
ANSA Liberi di giocare Bambini in un parco pubblico di Brescia: secondo l’Istat, i 439.747 nati nel 2018 segnavano il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia

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