IBRA-CR7 UN DUELLO GIGANTE PER ONORE E SCUDETTO
Con il nuovo tecnico i rossoneri sono saliti dal 14° al 7° posto. Regge il matrimonio tra Maurizio e la Signora: il titolo è vicino...
In comune la visione da dietro, che ti lascia una carriera da difensore, e una lunga gavetta di formazione. Si sfiorarono a Grosseto. Stefano Pioli ci arrivò nel 2007-08, Maurizio Sarri nel 2009-10. Stesso presidente, Piero Camilli, esperto in macellazione di ovini (e di mister). Di Pioli ha ricordato: «Eravamo alla frutta. Arrivò a stagione in corsa e ci salvò». Di Sarri: «Amava ripetere: “Quando una partita si sporca, bisogna ripulirla”». In fondo, non è cambiato nulla. Pioli è arrivato al Milan a stagione in corso e sta salvando il senso della stagione. Sarri ha cercato di dare pulizia tattica alla Juve di Allegri («macellato» da Camilli a Grosseto) che vinceva sporcando le partite, se serviva. Stasera Pioli e Sarri s’incrociano, con il vento nelle vele e un sentimento del futuro differente. Pioli è già stato «macellato», direbbe Camilli.
Fantasma Ralf
Proprietà e manager apicali si sono ben guardati dallo smentire l’arrivo di Ralf Rangnick. La cosa ha portato al siluramento di Boban e a quello probabile di Paolo Maldini che ha mandato a dire a Rangnick di chiudere il becco, senza il minimo appoggio del club. Pioli ha dovuto lavorare in questo Vietnam, con il fantasma di Rangnick in spalla, sbucato anche in questa delicata vigilia. Ha lavorato bene. Con tanto buon senso. Ha preso atto degli ingredienti in casa e ha impastato il primo Milan. Era una squadra costruita male, per un altro allenatore. Pioli punta forte su Theo Hernandez, l’unico di spessore internazionale: costruzione a 3 e fluidificazione perpetua del francese. Nasce un’identità tattica che aiuta il Diavolo a rimettersi in piedi. Poi a gennaio arriva Ibrahimovic e disegna il suo secondo Milan. Ibra non è tipo da convenevoli. Ti annusa e, se non gli piaci, ti scarta. Anche se ti chiami Guardiola. Se ha subito trovato l’intesa con Pioli, è perché ha riconosciuto un valore, sfuggito ad altri. Altro merito del tecnico è quello di avere rigenerato talenti finiti ai margini, come Rebic e Castillejo, cardini del nuovo 4-2-3-1; e di aver rianimato individualità involute (Romagnoli, Calhanoglu, Bennacer). Ci sono stati anche buchi neri (i 5 sberloni di Bergamo, il recente pareggio di Ferrara…), certo, ma il Milan, che Pioli prese al quattordicesimo posto, oggi è settimo a 2 punti da Napoli e Roma, soglia dell’Eurozona. Contro la Juve cerca una spinta in più per il finale di corsa. Pioli, Ibra, Maldini: c’è un patto sommerso tra gente che se ne andrà e vuole salutare con una frustata d’orgoglio. Il Milan rischia di scottarsi con lo stesso rimpianto di un anno fa, quando lasciò partire Gattuso che aveva fatto il massimo. Sulle basi del buon lavoro di Pioli si poteva costruire il futuro, risparmiando sul mister e investendo sui campioni che mancano a questo Milan. Invece sarà rivoluzione in un’estate compressa, che non concederà tempi d’apprendimento. Scommessa ardita. Pioli sarà altrove: non è tipo che allinea i cinesini sul prato per Ralf.
Eresia Pep
Sarri non ha dovuto convivere con fantasmi in arrivo, ma non è che la proprietà lo abbia ricoperto d’incenso. Il massimo del consenso pubblico espresso da Andrea Agnelli è stato un «siamo contenti di Sarri», in un’intervista di febbraio. Frase che finì rimpicciolita sui giornali che ne ingrandirono un’altra del presidente: «Un’eresia non pensare a Guardiola». Voluto soprattutto da Fabio Paratici, ingegnere del mercato bianconere, Sarri risponde a una logica precisa: se non è bastato acquistare il giocatore più forte (CR7) per arrivare alla benedetta Champions, proviamo con un gioco che faccia diventare più forti tutti gli altri, come fanno i vari Klopp e Guardiola. Ma la Juve è un mondo particolare. La Famiglia ha dettato da sempre la filosofia industriale del profitto: «Vincere è la sola cosa che conta». Giocare palla lontano dalla porta è visto quasi come uno spreco. Come tenere troppe luci accese in fabbrica. Il pragmatismo di Allegri si è trovato a meraviglia, il sarrismo ha dovuto vincere resistenze, specie nella vecchia guardia. Buffon, uomo squadra per natura, ha provato in qualche modo a mediare nel senato, dove Chiellini storceva il nasone. E poi Cristiano Ronaldo.
Duello a San Siro
Un Milan fa, CR7 contestò platealmente la sostituzione. Non ha mai accettato di spostarsi dalla fascia e sabato sbuffava con gli occhi al cielo mentre il mister gli parlava. Non è stato amore a prima vista. Non è Ibra-Pioli. Uno come Cristiano non sarà mai la parte di un organismo, sarà sempre l’organismo di se stesso. Sarri invece ha bisogno che la squadra sia sempre una democrazia in cui tutti lavorino per tutti. Più che dall’educazione, la Juve di Sarri è nata da un esercizio di mediazione. È un governo di larghe intese. Ha accettato l’indipendenza di CR7 e gli ha pure messo alle spalle Matuidi che corre per due. Ha accettato la circolazione lenta di Pjanic. Ha ottenuto in cambio più pressing e più palleggio. Bentancur che morde in avanti, Dybala che attacca gli spazi e Cuadrado che dà tutto nelle due fasi sono gli uomini più suoi. Questa Juve non potrà mai essere tutta sua. Quando CR7, Dybala e Douglas Costa prendono palla e fanno gol per conto loro, invece di chiudere una manovra di squadra, come col Lecce, Sarri esulta, ma sotto sotto, un po’ soffre. Lo scudetto è a un passo. Ma sarà la Champions a decidere il futuro di coppia di Sarri e Signora. Le macchie di due coppe perse restano. Qualche osservatore lo vede «macellato» a prescindere come direbbe Camilli, per incompatibilità di carattere. Però Arthur è un regalo al mister per il suo calcio. Stasera, a San Siro, Sarri, senza il suo Dybala, attaccherà il Milan di Pioli, uno degli ultimi scogli che lo separa dal suo primo scudetto. Due allenatori dal cuore in fiamme e dal futuro incerto. Solo il passato è sicuro: allenavano il Grosseto.
Ho detto ai ragazzi che ci saranno momenti in cui ci sembrerà tutto più facile, ma non lo sarà
Higuain è l’unico con cui litigo, ha bisogno di un contraltare per dare il meglio di sé
Maurizio Sarri