La Gazzetta dello Sport

ELLIOTT PENSI AL RILANCIO ROSSONERO

- Di Stefano Barigelli

Non sappiamo se Rangnick sarà l’uomo giusto, di sicuro il momento è sbagliato. Se il Milan sta salvando la faccia, e pure la classifica, non c’è alcun dubbio sia merito di Pioli. Ne è perfettame­nte consapevol­e anche la società, che certo non ha deciso lei di aprire il capitolo del cambio in panchina proprio ora, mentre la Juve sta arrivando a San Siro...

Non sappiamo se Rangnick sarà l’uomo giusto, di sicuro il momento è sbagliato. Se il Milan sta salvando la faccia, e pure la classifica, non c’è alcun dubbio sia merito di Pioli. Ne è perfettame­nte consapevol­e anche la società, che certo non ha deciso lei di aprire il capitolo del cambio in panchina proprio ora, mentre la Juve sta arrivando a San Siro. La scelta del tecnico tedesco è una svolta, anzi uno strappo rispetto alla continuità con la storia rossonera incarnata da Leonardo, Boban e Maldini. Una scelta con un profilo tecnico preciso, ma con molte incognite, che riguardano prima di tutto l’azionista. Cosa esattament­e Singer, numero uno del fondo Elliott, quindi con mezzi finanziari non banali, pensi di fare del Milan s’è capito poco. Si è capito che ha un obiettivo primario: lo stadio, che però in sé è poco interessan­te se non è funzionale al risultato in campo. Il Real è concentrat­o sulla Liga da vincere, non sul nuovo Bernabeu. Se Rangnick porterà con sé un progetto preciso e investimen­ti da Milan lo vedremo presto. Come vedremo presto se a Pioli verrà data la chance di restare in panchina, magari con il tedesco direttore tecnico. Tutto purché si metta il rilancio del club al primo posto. Il Milan è un patrimonio del calcio, non solo italiano. precedenti quella attuale, cioè nel periodo in cui la Juve ha costruito il dominio più lungo nella storia del calcio italiano, l’Inter non è mai andata oltre il quarto posto, ha avuto tre proprietà, speso alcune centinaia di milioni di euro sul mercato, cambiato allenatori spesso senza alcuna logica tecnica, bruciando di tutto sull’altare dell’impazienza: da Mazzarri a Gasperini, da Mancini a de Boer, da Pioli a Spalletti. L’unico che c’è ancora è Ausilio, il direttore sportivo. La forza dei grandi club la misuri nella continuità. Anche il Nottingham Forest ha vinto due Coppe dei Campioni e oggi cosa ne resta? Niente. Da più di dieci anni naviga nel malinconic­o mare della serie B inglese. L’Inter che certamente sta deludendo è appena all’alba della ricostruzi­one. Ma nei grandi club l’unica cosa che non hai a disposizio­ne è il tempo: Zhang, Marotta e Conte devono accelerare perché il mondo, perfino il mondo del calcio, si alza presto, dorme poco e va di corsa. Accelerare significa cambiare molti giocatori: a centrocamp­o e sulle fasce ce ne sono troppi non da Inter. Ma significa anche cambiare mentalità. Cristiano Ronaldo non avrebbe mai dato a Muratore la palla per tirare il rigore, nemmeno sul 5-0, figuriamoc­i sull’1-0. L’Inter somiglia ancora troppo a quella nevrotica e discontinu­a degli ultimi otto anni. Conte non è riuscito a rompere con i vizi del passato e non è riuscito nemmeno a dare un’identità alla squadra. La rivoluzion­e estiva s’è fermata a metà: doveva essere più coraggiosa. Ci sono davanti settimane importanti tra campionato, Europa League e mercato per correggers­i. La Champions già acquisita è qualcosa, non abbastanza rispetto alle attese e agli investimen­ti.

La Juve è la squadra che ha più guadagnato fin qui nel mini torneo turbo compresso.

Le tre partite a settimana hanno creato le condizioni ideali per esaltare la ricchezza di individual­ità, abbassato i ritmi di gioco, spuntato così le armi delle avversarie che avevano capito come metterla in difficoltà. L’adattament­o di De Ligt, la crescita di Bentancur, l’esplosione di Dybala hanno fatto il resto. Risultato: 13 gol fatti, 2 soli subiti. È più merito del tecnico o della società? Direi che c’è ancora poco sarrismo nel gioco, ma c’è molto Sarri in questi numeri. C’è la capacità di adattarsi con pragmatism­o ai giocatori che Paratici gli ha messo a disposizio­ne, recuperand­o alla causa perfino Rabiot. Ha convinto Cristiano Ronaldo che era meglio avere vicino Dybala, giocatore agli antipodi di Benzema, prototipo per CR7 del partner ideale. In estate Lukaku doveva fare tandem con Ronaldo, mentre Dybala doveva gelare a Manchester. Comunque i conti alla Juve si fanno alla fine: Sarri ha uno scudetto da vincere e una Champions per cui battagliar­e. Poi si vedrà.

La travagliat­a ripresa della Formula 1 ha regalato alla Ferrari la certezza che Leclerc ha tutto per diventare l’erede di Hamilton.

La gestione dell’intero weekend, dalle prove al sorpasso su Perez, è stata un piccolo capolavoro. Leclerc insomma ha tutto, fuorché la macchina. Perché a Zeltweg la Ferrari ha mostrato più limiti di quanto si potesse immaginare: perdere sette decimi sul giro rispetto alle Mercedes sono tanti. Binotto a Budapest porterà migliorame­nti che spera se non altro spingano la Ferrari un passo avanti. Il resto dovrà farlo Leclerc. Non aspettiamo­ci e non chiediamog­li miracoli a ogni Gran Premio però. Schumacher arrivò in Ferrari nel ’96 , vinse il primo dei cinque Mondiali con la Rossa nel 2000. All’epoca i team da battere erano Williams e McLaren. La Mercedes è tutta un’altra storia. Ma se c’è uno che tutto questo lo sa bene, quello è Binotto.

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Cambiament­i 1 Il tecnico del Milan Stefano Pioli (54 anni, al centro) con l’ad Ivan Gazidis (55, a sinistra) e Paolo Maldini (52). 2 Antonio Conte (50), allenatore dell’Inter. 3 Charles Leclerc (22), pilota della Ferrari
2 Cambiament­i 1 Il tecnico del Milan Stefano Pioli (54 anni, al centro) con l’ad Ivan Gazidis (55, a sinistra) e Paolo Maldini (52). 2 Antonio Conte (50), allenatore dell’Inter. 3 Charles Leclerc (22), pilota della Ferrari
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