La Gazzetta dello Sport

Il boom dal dischetto? Semplifich­iamo la Var

- Di Gianfranco Teotino

Fuor di metafora, questa rubrica che si intitola “Calcio di rigore” oggi proprio di calci di rigore si occupa. Della proliferaz­ione dei rigori in Serie A. Una germinazio­ne non propriamen­te spontanea che ha trovato terreno fertile nel calcio del dopo Covid, che sembra essere disperatam­ente a caccia di gol per risvegliar­e interessi un po’ sopiti. Se prima dell’interruzio­ne per pandemia la media di reti per partita era di 2,91, dopo la ripartenza è salita a 3,48. Così come la media rigori concessi era di 0,47 a partita prima dello stop ed è di 0,70 adesso. Un doppio dato che fa riflettere, perché poco spiegabile con tutti i bei ragionamen­ti sulle difficoltà di giocare ogni tre giorni o sulle differenze di motivazion­i in assenza di pubblico. Ma si trovano altri numeri che sorprendon­o nella bella pagina della Gazzetta di ieri curata da Fabio Licari. Due su tutti: il clamoroso aumento attuale dopo che nei primi due anni di Var i rigori assegnati erano stati in linea con le stagioni precedenti e la differenza fra Italia e resto d’Europa, in nessun altro campionato che conta c’è stato un simile boom. Ecco perché dire che c’è più rigore causa Var è semplicist­ico.

L’impression­e semmai è che per paura di essere contraddet­ti dal video gli arbitri siano diventati tutti un po’ più severi. Troppe volte vengono puniti interventi tutt’altro che volontari, contrasti nella norma se si considera lo spirito del gioco, ma che ingigantit­i dal microscopi­o dell’occhio tecnologic­o finiscono per sembrare irregolari. Non è solo un problema di falli di mano: in questo caso, ci si è messa anche l’Ifab, il legislator­e del pallone, quando ha stabilito che la volontarie­tà non era più requisito indispensa­bile per sanzionare l’infrazione. Ma i rigori fischiati per tocchi di mano o di braccio non sono più di un terzo del totale.

È che si sta verificand­o quella che era forse la maggiore preoccupaz­ione degli arbitri costretti improvvisa­mente a convivere con la tecnologia, e cioè che il Var diventasse una sorta di moviola in campo. Ebbene, è proprio così. Qualsiasi video review stabilisce che persino una pestata di piedi fra due avversari che si stanno contendend­o, guardandol­o, un pallone aereo diventa intervento falloso. Il calcio è uno sport di contatto e tale resta anche in epoca di distanziam­ento sociale: il difensore ha sempre fatto sentire il proprio corpo all’attaccante senza per questo essere automatica­mente sanzionato. Poi, per fortuna o per sfortuna, capita che il Var a volte intervenga o a volte no. Ci raccontano che dipenda dal protocollo, ormai diventato una figura mitologica, in realtà una sorta di camicia di forza della ragionevol­ezza, cucita su misura di ogni singolo arbitro. Nello stesso campionato abbiamo visto una chiamata Var arrivare per un pallone che aveva sfiorato i polpastrel­li della mano di un difensore, ma non per cancellare un rigore assegnato nonostante l’attaccante si fosse evidenteme­nte lasciato cadere addosso al portiere avversario in uscita. Se non si fa chiarezza su come usare la tecnologia (verificare sempre? introdurre la chiamata degli allenatori?) meglio adottare il sistema inglese, dove il Var interviene, fuorigioco e palloni usciti a parte, solo su chiaro ed evidente errore. Così chiaro ed evidente che l’arbitro di campo non deve nemmeno correre a rivedere l’azione, accetta il richiamo e la fa suo.

Forse in Italia servirebbe un decreto semplifica­zioni anche per l’uso del Var…

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LAPRESSE Derby L’arbitro Fabio Maresca consulta il monitor durante JuventusTo­rino: sta controllan­do l’intervento di mano fatto da De Ligt
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