Mascella spigolosa, spirito indomabile Quell’arte di correre dai circuiti ai deserti
Per descriverlo non servono tante parole. Basta quella mascella spigolosa e tagliente come la Mazeno
del Nanga Parbat. Duro, caparbio, orgoglioso. Fernando Alonso. Uno che ha vinto e ha perso, si è messo in discussione, si è misurato con ogni corsa e avversario. Uno che a gennaio, a 38 anni di cui 18 in Formula 1, dopo due mondiali, due 24 Ore di Le Mans, un titolo Wec, cocenti delusioni alla Indy 500 ha detto: proviamo la Dakar. Se uno è pilota, è pilota sempre. «Vado nel deserto per divertirmi e imparare, ma non ho niente da dimostrare. Qualche altro vinca quello che ho vinto io, poi venga qui e ne riparliamo». Dritto per dritto.
Dal giallo al rosso
Talentuoso e aggressivo, aveva compiuto un capolavoro vincendo due mondiali di fila in F.1 contro la Ferrari di sua maestà Michael Schumacher, tra 2005 e 2006, guidato da uno stratega come Flavio Briatore, che di Alonso era anche mentore e manager. Uno spagnolo in cima al mondo su una macchina francese: in F.1 non si era mai visto. Ma Alonso e la Renault avevano scritto la storia. Ecco, la Renault è stata il suo trampolino e il suo porto quiete: ci era arrivato nel 2003 dopo un anno da matricola in Minardi, spiccando il volo. Primo podio (Malesia 2003), primo GP vinto (Ungheria 2003) e su fino al titolo 2005 bissato l’anno dopo. Poi di nuovo la Renault gli ha teso la mano nel 2008, dopo la stagione frustrante in McLaren con il mondiale sfumato nel finale (finito alla Ferrari di
32 2 1
Raikkonen) e la sfibrante lotta interna con la matricola Lewis Hamilton, pupillo di Ron Dennis e mal tollerato da Alonso. Così il ritorno in Renault, biennio terapeutico prima del salto. La Ferrari.
Caccia alla Corona
Arriva nel 2010, pronti via è subito vittoria in Bahrain. Il popolo ferrarista impazzisce. Nell’immaginario della gente è l’erede di Schumi: Fernando è il più forte, è il prescelto, colui che riaprirà un ciclo a Maranello dopo i fasti dell’era Schumacher-Todt. Va diversamente, cinque stagioni con tre secondi posti mondiali sempre dietro la Red Bull e sempre dietro Sebastian Vettel: «No — sottolinea lo spigoloso e orgoglioso Fernando — il mio avversario non è Vettel, è Adrian Newey». Come dire: il pilota più forte sono io, Seb ha solo la macchina migliore. Il talento e l’aggressività dello spagnolo compensano i difetti della Ferrari, lo portano almeno due volte a giocarsi il titolo all’ultima gara. Resta incompiuto, tanto che saluta nel 2014 (al suo posto Vettel...) rescindendo il contratto. Poi la McLaren in declino, l’addio alla F.1, le vittorie a Le Mans, la Dakar e il grande pallino, l’ultimo gioiello per la Triple Crown: la 500 Miglia di Indianapolis (ha già vinto GP Monaco e Le Mans). Ci ha provato due volte: prima ritirato, poi neanche qualificato. Il 23 agosto ci riproverà, prima di rituffarsi in Formula 1. Ma tanto, «non ho niente da dimostrare»...