La Gazzetta dello Sport

Perin e Genoa, un’impresa Frenati il Verona e i guai

I rossoblù resistono grazie alle parate del portiere, che a fine gara si sfoga: «Basta pregiudizi sui calciatori»

- Di Pierfrance­sco Archetti- INVIATO A VERONA

Lo sforzo più grande per il Verona in questo campionato è quello di far entrare i giocatori in un sistema prestabili­to. I meccanismi di Juric hanno portato al nono posto in agosto e non cambiano di certo, però parecchi sceriffi che vincevano ogni duello adesso non ci sono più. E’ un’altra sfida che la società lancia all’allenatore e che l’allenatore gira al campionato. L’Hellas deve essere uguale a se stesso, anche se specchiand­osi non si ritrova più simile. Non sempre riesce a sincronizz­are i movimenti su larghi spazi degli esterni a quelli su un territorio più ristretto dei registi. Alcune azioni hanno la valenza di quelle del passato, sono simboliche per un gruppo che deve conoscersi e apprendere. Un recupero sulla trequarti di Ilic diventa l’esempio dell’aggressivi­tà richiesta dal tecnico, come la verticaliz­zazione immediata ma con un tiro poi debole. Oppure una combinazio­ne di prima per aprire la fascia a Faraoni: idem come sopra, il problema è la conclusion­e, ancora fiacca con un colpo di testa di Colley. E anche quando il Genoa, comprensib­ilmente senza fiato nella ripresa, si raggruppa in area, l’Hellas è discreto fino al limite, ma non dentro. Così si spiega lo 0-0, risultato che non è un furto.

I motivi

D’altronde l’Hellas ha vinto due partite su quattro segnando un solo gol; tre punti dal giudice sportivo per un errore burocratic­o della Roma, altri tre per un girata sotto porta di Favilli contro l’Udinese. Favilli nella stagione scorsa era al Genoa, non segnò mai, in venti apparizion­i in campionato. Adesso si agita ma ha sempre Zapata sulla sua maglia. Il colombiano alza la linea del fuorigioco, ingaggia i corpo a corpo anche oltre il centrocamp­o, oppure comanda di testa davanti a Perin. E i gialloblù restano lontani dall’esultanza. Quando si avvicinano, con un gran contropied­e di Colley, Perin è sveglio, come poi su Favilli, per una volta libero ma impreciso da pochi passi. Così dopo un’ora, quando i gialloblù sono sul 13-1 come corner ma a zero gol, Favilli esce per Kalinic, l’acquisto più di spessore. Fa poco, e l’ultimo volo del portiere è su una zuccata di Salcedo.

Genoa roccioso

Per il Genoa è un punto che vale tanto. Non si può pretendere durata fisica e spontaneit­à di gioco per una squadra che non vede partita dal 27 settembre, che ha passato questo periodo tra le preoccupaz­ioni di 22 positivi, staff compreso, e l’ansia di non poter disporre di 17 giocatori, prima di ritrovarne dieci da qualche giorno, liberati dagli esiti delle analisi. Il Genoa è entrato nella dimensione estrema del calcio (e della vita) attuale, in cui le condizioni per svolgere il proprio lavoro sono dominate dalla precarietà, dai programmi ora per ora e dal futuro impronosti­cabile. Potrebbe usarla come alibi, invece non accampa scuse, corre e resiste a testa alta. Due debuttanti in A, al via: Rovella (dall’inizio) e Shomurodov (in assoluto). Un prodotto del vivaio e un acquisto agli sgoccioli del mercato. Non ha ancora sintonia con Pandev. Il ragazzo del 2001 invece ha qualità e coraggio, come dall’altra parte Lovato, quasi coetaneo (2000) che “kumbuleggi­a” ossia mostra personalit­à e relax anche nei dettagli più rischiosi, come il suo predecesso­re venduto alla Roma. Il Genoa fa distendere Silvestri nel primo tempo, poi si rintana. Ma nemmeno le mosse di Juric, soprattutt­o Lazovic alto a destra, lo fanno cadere. E Perin alla fine si sfoga: «Abbiamo subìto attacchi insignific­anti sulla gestione del covid. C’è stata una narrazione che mi ha dato fastidio, quella dello stereotipo del calciatore superficia­le».

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GETTY Decisivo Il numero uno genoano Mattia Perin, 27 anni, reduce dalla quarantena, protagonis­ta del pari rossoblù

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