Perin e Genoa, un’impresa Frenati il Verona e i guai
I rossoblù resistono grazie alle parate del portiere, che a fine gara si sfoga: «Basta pregiudizi sui calciatori»
Lo sforzo più grande per il Verona in questo campionato è quello di far entrare i giocatori in un sistema prestabilito. I meccanismi di Juric hanno portato al nono posto in agosto e non cambiano di certo, però parecchi sceriffi che vincevano ogni duello adesso non ci sono più. E’ un’altra sfida che la società lancia all’allenatore e che l’allenatore gira al campionato. L’Hellas deve essere uguale a se stesso, anche se specchiandosi non si ritrova più simile. Non sempre riesce a sincronizzare i movimenti su larghi spazi degli esterni a quelli su un territorio più ristretto dei registi. Alcune azioni hanno la valenza di quelle del passato, sono simboliche per un gruppo che deve conoscersi e apprendere. Un recupero sulla trequarti di Ilic diventa l’esempio dell’aggressività richiesta dal tecnico, come la verticalizzazione immediata ma con un tiro poi debole. Oppure una combinazione di prima per aprire la fascia a Faraoni: idem come sopra, il problema è la conclusione, ancora fiacca con un colpo di testa di Colley. E anche quando il Genoa, comprensibilmente senza fiato nella ripresa, si raggruppa in area, l’Hellas è discreto fino al limite, ma non dentro. Così si spiega lo 0-0, risultato che non è un furto.
I motivi
D’altronde l’Hellas ha vinto due partite su quattro segnando un solo gol; tre punti dal giudice sportivo per un errore burocratico della Roma, altri tre per un girata sotto porta di Favilli contro l’Udinese. Favilli nella stagione scorsa era al Genoa, non segnò mai, in venti apparizioni in campionato. Adesso si agita ma ha sempre Zapata sulla sua maglia. Il colombiano alza la linea del fuorigioco, ingaggia i corpo a corpo anche oltre il centrocampo, oppure comanda di testa davanti a Perin. E i gialloblù restano lontani dall’esultanza. Quando si avvicinano, con un gran contropiede di Colley, Perin è sveglio, come poi su Favilli, per una volta libero ma impreciso da pochi passi. Così dopo un’ora, quando i gialloblù sono sul 13-1 come corner ma a zero gol, Favilli esce per Kalinic, l’acquisto più di spessore. Fa poco, e l’ultimo volo del portiere è su una zuccata di Salcedo.
Genoa roccioso
Per il Genoa è un punto che vale tanto. Non si può pretendere durata fisica e spontaneità di gioco per una squadra che non vede partita dal 27 settembre, che ha passato questo periodo tra le preoccupazioni di 22 positivi, staff compreso, e l’ansia di non poter disporre di 17 giocatori, prima di ritrovarne dieci da qualche giorno, liberati dagli esiti delle analisi. Il Genoa è entrato nella dimensione estrema del calcio (e della vita) attuale, in cui le condizioni per svolgere il proprio lavoro sono dominate dalla precarietà, dai programmi ora per ora e dal futuro impronosticabile. Potrebbe usarla come alibi, invece non accampa scuse, corre e resiste a testa alta. Due debuttanti in A, al via: Rovella (dall’inizio) e Shomurodov (in assoluto). Un prodotto del vivaio e un acquisto agli sgoccioli del mercato. Non ha ancora sintonia con Pandev. Il ragazzo del 2001 invece ha qualità e coraggio, come dall’altra parte Lovato, quasi coetaneo (2000) che “kumbuleggia” ossia mostra personalità e relax anche nei dettagli più rischiosi, come il suo predecessore venduto alla Roma. Il Genoa fa distendere Silvestri nel primo tempo, poi si rintana. Ma nemmeno le mosse di Juric, soprattutto Lazovic alto a destra, lo fanno cadere. E Perin alla fine si sfoga: «Abbiamo subìto attacchi insignificanti sulla gestione del covid. C’è stata una narrazione che mi ha dato fastidio, quella dello stereotipo del calciatore superficiale».