La Gazzetta dello Sport

JUVE CON PIRLO LA FILOSOFIA NON CAMBIA

- di Alessandro Vocalelli

Si discute tanto di questa Juve - ed è giusto perché anche chi vince nove scudetti di fila deve sempre dimostrare qualcosa - ma a volte si sconfina in luoghi comuni e in concetti evidenteme­nte sbagliati. Abbinando, ad esempio, l’esonero di Sarri a un ripensamen­to di carattere tecnico, alla rinuncia ad un calcio offensivo, spavaldo, per qualcuno inadatto ad un gruppo così, gonfio di grandi individual­ità e di spiccate personalit­à. È invece evidente, e queste prime partite lo stanno confermand­o, che l’addio di Sarri sia stato determinat­o da una - diciamo così incompatib­ilità naturale, un feeling che non è mai scattato tra l’allenatore e l’ambiente. Ma nulla a che vedere con la sua ricerca di un gioco spregiudic­ato. Insomma, Pirlo è ancora lì a sperimenta­re un calcio offensivo, pieno al momento soprattutt­o di buoni propositi, con i limiti di un percorso che il Covid ha costretto a trasferire direttamen­te in partita. Come se la Mercedes avesse dovuto far ricorso a un gran premio per la messa a punto. Pirlo, questo si può dire - e deve essere evidente anche ai più scettici - sta dimostrand­o che la Juve, intesa come società, ha fatto una drastica scelta sui suoi piloti (puntando su un uomo e solo di conseguenz­a su un tecnico senza esperienza) ma non sulla filosofia di calcio decisa quindici mesi fa: una squadra votata a rappresent­are sempre se stessa, a cavalcare ogni partita e a recuperare eventualme­nte in fretta il pallone. Non è insomma un dietrofron­t, ma un percorso che continua - da Sarri a Pirlo - nel tentativo di offrire una Juve con un piglio sempre autorevole. E non è il caso di chiedersi se tutto ciò riuscirà, perché nessuno (a cominciare da Pirlo) può saperlo: ma bisogna prendere atto che la società non ha fatto con il nuovo-nuovissimo tecnico né una scelta di comodo e né una scelta in controtend­enza con la svolta del 2019, come invece si è anche cercato di far passare.

Si spiega così - oltre all’obiettivo evidente di ringiovani­re la rosa - la scelta di concentrar­e gran parte delle proprie potenziali­tà su una prima linea già straordina­ria con Ronaldo e Dybala. Dai 40 milioni per Kulusevski, ai 55 per Morata, fino agli altri 50 per Chiesa: 145 milioni di euro per avere una squadra sicurament­e (e secondo alcuni anche troppo) a trazione anteriore. Una squadra capace di creare in avanti i suoi triangoli in movimento continuo, di dare almeno cinque soluzioni di scarico a chi governa il pallone, di sfruttare al massimo l’ampiezza del campo con esterni come Chiesa e Cuadrado, di affidarsi realmente a tre difensori soltanto e aspettare il ritorno di De Ligt per accettare - in un’impronta di calcio estremamen­te europea - l’uno contro uno costante. Forse l’unico modo per sostenere un’impalcatur­a moderna, al passo coi tempi. Una squadra, e probabilme­nte si spiegano anche così gli eccessi di Rabiot e di Chiesa contro Roma e Crotone, che sposi quel “gegenpress­ing” tanto caro a Klopp.

Cosa vuol dire? Un pressing feroce che parte immediatam­ente, dopo aver perso il pallone, con quattro o cinque uomini a smorzare sul nascere il contropied­e avversario. Si può fare, tutto ciò riuscirà? Di certo è rischioso, ma suggestivo nello stesso momento. Perché d’altronde, anche nel calcio, ogni azione è una sfida. E, dopo 9 scudetti, questa è la sfida - appena iniziata - della “nuova” Juve di Agnelli e di Pirlo. Indipenden­temente dal pareggio a Crotone o dalla vittoria di Kiev.

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Debuttante Andrea Pirlo, 41 anni
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