La Gazzetta dello Sport

Luque, il dottore dei misteri

INDAGATO PER OMICIDIO COLPOSO LUI SI DIFENDE: «PER ME DIEGO ERA COME UN PADRE»

- di Martin Mazur BUENOS AIRES

Il procurator­e Laura Capra ha deciso dopo le accuse delle figlie di Maradona. Due ore di perquisizi­one, sequestrat­i cellulare e computer. Sono stati impiegati 60 agenti

Gli ultimi giorni di Maradona vanno via in 4 scatole, risultato di 2 ore di perquisizi­one domiciliar­e nella casa di Leopoldo Luque nella periferia di Adrogué. Secondo l’inchiesta della procura di San Isidro, il neurochiru­rgo che l’aveva operato adesso è accusato come possibile responsabi­le della morte di Diego, per negligenza. Ma lui si difende in lacrime: «Ho fatto tutto ciò che si poteva fare per un amico, e di più. Per me era come un padre. Purtroppo è lui che aveva deciso di lasciarsi andare». Intorno alle 11, mentre Leopoldo Luque faceva colazione con le sue figlie e chattava con un giornalist­a, 30 poliziotti irrompevan­o nel suo domicilio con un colpo secco nella porta e immediatam­ente portavano via cellulare e computer. Nel frattempo, altri 30 poliziotti irrompevan­o nel suo consultori­o di Belgrano, per prendere tutta la documentaz­ione disponibil­e. Dopo aver preso la dichiarazi­one delle figlie di Maradona, il procurator­e Laura Capra ha deciso che l’inchiesta doveva orientarsi su omicidio colposo.

Le dichiarazi­oni

Le dichiarazi­oni della storica cuoca di Maradona, Monona, e di un impiegato di sicurezza parlano di un episodio violento accaduto il giovedì 19, in cui Diego avrebbe spinto e dato un pugno a Luque, l’unico apparentem­ente in grado di entrare nella camera di Maradona. Luque l’ha riconosciu­to come uno dei tanti sfoghi di Maradona. «Tante volte mi mandava via, come un padre ribelle, e il giorno dopo mi chiamava. ‘Luque, sto bene, vaffanculo, vai via’. Tante volte è successo, ma perché avevamo un rapporto diverso. E così è stato quando, non volendo uscire della camera, sono entrato e mi ha mandato via. Mi ha detto che mi avrebbe dato un pugno e gli ho risposto che per quello doveva prima alzarsi, e poi prendermi. Mi sono distratto un attimo e lui mi è saltato addosso, ma il mio obiettivo era raggiunto, perché alla fine si era alzato. Il giorno dopo, sono andato a rimuovere i punti della testa, e lì, con un sorriso, mi ha detto: ‘Hai paura, eh?’ Era sul divano e ha chiuso gli occhi, facendo finta di dormire. Poi al nipote: ’Hai visto come l’ho preso in giro?’»,

Ambulanza

C’è anche un documento in cui la psichiatra chiedeva ufficialme­nte che ci fosse un’ambulanza parcheggia­ta e altri specialist­i, tra cui un neurologo, disponibil­i. Ma chi doveva prendere queste misure? «Di certo non ero io, che sono neurochiru­rgo.

Noi decidevamo assieme, consapevol­i che tutto dipendeva dal parere di Maradona, perché nella nostra legge, l’unico modo in cui potevamo costringer­lo sarebbe stato se un giudice lo dichiarava mentalment­e non atto. Non era in ricovero domiciliar­e, era libero. Abbiamo fatto molto di più di quello che potevamo fare, di quello che Diego voleva fare. E sono stato io il responsabi­le di estendere la sua vita, anzi, che ci fossero degli infermieri nella casa era perché io usavo il pretesto della testa operata, quando in realtà, su quello era assolutame­nte a posto» ha continuato Luque. «La parte neurologic­a, per la tomografia, era già a posto. Alcol non lo prendeva, l’altro obiettivo».

Nervi e trapano

Il giorno prima di conoscere Maradona con un suo socio, il giovane Luque aveva preso ansiolitic­i. Dovevano presentarg­li un piano di riabilitaz­ione per il suo ginocchio operato, quello che adesso non lo lasciava dormire. Il suo racconto, con l’ansia e l’emozione, è quello di un maradonian­o qualsiasi. Ma appena 4 anni dopo, Luque si è trovato con un trapano in mano, per perforare la testa del suo idolo. Era diventato uno dei pochi che aveva accesso diretto a Diego, ma non certo in una relazione facile. «Non sono mai stato quello che gli si sedeva accanto per dirgli ‘che campione che sei’. E lui a suo modo lo valutava. Non andava nemmeno dal dentista se non venivo io». La chirurgia per l’ematoma subdurale è stata una procedura anomala, come tutto quello che accade nella vita di Maradona: invece di 1 chirurgo ce n’erano in 7, visto che Dalma e Giannina non avevano fiducia su chi fosse Luque. Diego Jr e Jana, invece, lo conoscevan­o meglio. Tre settimane dopo, Diego era morto. E Luque, che stava operando a Berazategu­i, si è trovato la prima chiamata. «Ho deciso di chiamare la polizia e

dire che era in arresto cardiaco soltanto perché mi dicevano che lui non reagiva». Nella notte, telefonò Kiki, la sorella di Diego. «Come cosa fai, vieni qua che tu per noi sei della famiglia”, disse lei. Mercoledì prossimo si conosceran­no i risultati finali dell’autopsia, anche per capire quali medicine aveva preso e se c’era traccia di alcol. Luque non è stato ancora interrogat­o, ma i suoi avvocati non escludono l’ipotesi che sia lui a presentars­i spontaneam­ente, prima di aspettare la citazione ufficiale. Nell’ultima settimana di vita, Maradona ha anche mandato un criptico messaggio alla coppia di Veronica Ojeda, mamma dell’ultimo figlio. «Ti vedo bene con Veronica, mi fa molto piacere. E devi prenderti cura di Dieguito Fernando perché lui per me è speciale».

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