«La haka per lui, gesto di rispetto e grande amore»
La stella del rugby azzurro sulla scelta degli All Blacks di onorarne la memoria: «Diego ha risollevato un popolo dopo le Malvinas»
Da stella del rugby (simbolo azzurro con 119 presenze in Nazionale tra il 2002 e il 2016), a stella televisiva (sabato la finale di “Tu si Que Vales”, programma che dal 2017 lo vede tra i conduttori, ha avuto 6.165.000 spettatori e il 33.1% di share): con l’Argentina, Paese dov’è nato e dove ha vissuto fino ai 20 anni, sempre nel cuore. Martin Castrogiovanni è tra i tanti che piangono Diego Maradona. A ragion veduta, potendo interpretare la sua storia.
3Cosa
ha pensato quando gli All Blacks sabato, prima della haka introduttiva alla sfida all’Argentina, hanno steso davanti ai Pumas schierati una maglia n. 10 col nome Maradona?
«È stato un gesto prezioso, nient’affatto malizioso, uno dei più simbolici tra gli infiniti che stanno celebrando Diego. Per gli All Blacks la maglia è tutto, non cambia mai, è sempre tuttanera. È stato un omaggio assoluto e usarla così una forma massima di rispetto e di amore. Per il campione che non c’è più e per l’Argentina tutta».
3 Perché Maradona è stato così trasversale?
«Sono da quasi vent’anni in Europa: ovunque abbia svelato la mia nazionalità, la prima reazione
che ho sempre ottenuto è stata: “Maradona”. E, come me, tutti gli argentini sparsi nel mondo. Se penso a un altro Paese che si rispecchia così in un solo personaggio, mi viene in mente il Sudafrica e Nelson Mandela. L’Argentina, negli ultimi decenni, ha conosciuto rare soddisfazioni: Diego è stato tra i pochi a regalarle gioia».
3Il rugby è innanzi tutto rispetto delle regole, Maradona spesso non le ha seguite. «Non giudico l’uomo. Ma non dimentico la sua parabola, il suo essersi fatto dal nulla, partendo da una condizione di estrema povertà. Ha dato tutto se stesso per gli altri, per un popolo. E ha risollevato un Pa
ese reduce dalla guerra delle Malvinas durante la quale, senza bene sapere perché, tante madri han perso i propri figli e tante mogli i propri mariti. Diego, uno della base, con la sua generosità ha ridato orgoglio a chi lo aveva perduto, alle periferie, agli ultimi».
Lei, prima di essere rugbista, sognava di diventare un nome del basket Nba: seguiva lo stesso Maradona? «Tutti i ragazzini volevano essere Maradona. Io, come lui, volevo diventare un simbolo, uno scomodo, che lotta per i diritti altrui e contro il sistema. Un leader della propria squadra e del proprio Paese. Ci son riuscito solo in minima parte: a certi arbitri e a certi allenatori non le ho mai mandate a dire».
3Anche Maradona, come lei, provava un affetto particolare per i più piccoli, soprattutto se in difficoltà. «La chiave è il senso di appartenenza e la consapevolezza delle proprie origini. Quando è così, le ingiustizie sono difficili da accettare».
3Diego, durante la Coppa del Mondo ovale 2015 in Inghilterra, fece festa coi Pumas freschi vincitori su Tonga nello spogliatoio del Leicester, in quello che era stato il “suo” spogliatoio per sette anni: cosa sa di quel giorno? «Che rabbia non averlo potuto vivere direttamente... Dev’essere stato il suo punto di contatto più stretto col rugby. Ne ho parlato col mio amico terza linea Juan Martin Fernandez Lobbe, allora giocatore, oggi nello staff dei Pumas. Ecco, credo che l’attuale Nazionale biancoceleste, due settimane fa capace di battere per la prima volta gli All Blacks e poi di pareggiare con l’Australia, sia animata dalla stessa voglia di riscatto che aveva Diego. Non giocava da oltre un anno, è stata falcidiata da casi di positività al Covid-19, è stata in una sorta di bolla per 40 giorni e poi capace di due prestazioni storiche».
3Quello che non riesce alla sua Italia...
«Diamo tempo al tempo: c’è in atto un cambio generazionale, il gruppo è giovane, occorre aver fiducia in un processo che non può dare frutti immediati. Anche la mia Nazionale, per qualche anno, vinse poco o nulla».