I SENZA IBRA E LA FORZA DI SQUADRA
Nel momento in cui si pensava di scoprire la debolezza del Milan, ci si accorge della sua forza. Senza Ibrahimovic, il totem capocannoniere; senza Bennacer, cervello dell’impostazione; senza il timoniere Pioli, il Diavolo ha battuto la Fiorentina con una sicurezza da grande, ha allungato a +5 sui secondi e a +6 sulla Juve, insensibile alla fatica di coppa che ha falciato Atalanta e Lazio. Più dei numeri record, due immagini di ieri raccontano bene la capolista. La prima: Ibra che esulta con passione, a pugni chiusi, tra gioia e sorpresa: «Ma allora, siete forti quasi come me…». Il Milan ha saputo fare a meno di Ibra, come la Juve non ha saputo fare a meno di CR7: 3 pareggi contro Crotone, Verona e Benevento. Non si sa dove fosse Cristiano sabato sera, Zlatan era accanto ai compagni più appassionato che mai. Anche questo conta. Seconda immagine: a fine match, ancora in campo, Pioli si è collegato con i giocatori in videochiamata. Un’empatia chiave, tattica e spirituale. Pioli era in campo anche durante la partita, dentro ciascun giocatore, sotto forma di conoscenze. Sono state queste conoscenze, non meno di Ibra, a dare coraggio e convinzione a un gruppo che prima, se beccava un gol, si scioglieva. Oggi ognuno sa cosa deve fare e dove può arrivare. Il secondo tempo con la Viola è stato più sorprendente del primo in cui il Milan ha segnato 2 gol: una gestione serena, da capolista di lungo corso, dettata dalla forza del gioco. Calabria, prima impacciato e contestato, ora autoritario e sempre tra i migliori, è simbolo: un giocatore trasfigurato, quasi invasato. Saelemaekers cresce a vista d’occhio. Oggi il Milan non è la somma del valore delle individualità. Ma quella somma moltiplicata per la lezione del suo allenatore. Come accade all’Atalanta. Contasse solo la somma delle individualità, Inter e Juve sarebbero già in fuga. Ma Conte è ancora in cantiere, alla 9a giornata ha provato Barella centrale. Pirlo deve ancora capire cosa fare a centrocampo. Nessuno dei due ha tessuto col gruppo l’empatia di Pioli. Quando quadreranno il cerchio tattico, potranno rimontare, perché hanno organici superiori, ma devono affrettarsi, perché il Diavolo intanto vola. Il Milan non perde in campionato dall’8 marzo, costruisce con facilità (29 gare consecutive con gol, non accadeva dal ’72-73), è equilibrato: una delle tre di A che ha subito meno di 10 gol e una delle 3 che ne ha segnati più di 20. Ovvero: la forza nella continuità, che è il miglior riassunto della Juve dei 9 scudetti. Ecco, per ora, quella Juve si chiama Milan. La Roma ha fallito il balzo al secondo posto. Non perdeva dal 6 luglio (Siviglia). Troppi infortuni, ma anche la paura di guastare l’omaggio a Maradona in un San Paolo emozionato. Un memoriale più che una partita. Napoli vestito da Argentina. Apre Insigne con una punizione nella porta della epica punizione di Diego alla Juve. Chiude Politano serpeggiando e aggirando Shilton-Mirante. La «mano de Dios» ha risollevato il Napoli. Anche l’aggancio alla Juve è maradoniano. Insigne dice che il 10 va ritirato. No, Lorenzo: vesta quella maglia. La punizione nella stessa porta è stata un’indicazione del destino . Diego è stato dio di carne: si sentirebbe più onorato a vedere la sua maglia ripiena di un cuore, piuttosto che vuota in una teca. Lei è il figlio di Napoli più degno di portarla. I bimbi della città hanno il diritto di sognarla. Non sarà una croce, solo un assist alla memoria. Coraggio.