La Gazzetta dello Sport

Fuori dall’Europa

- di Luigi Garlando MILANO

Finisce con Lukaku che respinge un colpo di testa di Sanchez diretto in rete; con Eriksen, entrato all’80’, che sfiora il gol qualificaz­ione; con Handanovic centravant­i. Ma soprattutt­o: finisce. Inter fuori da due coppe in una notte sola. Terza eliminazio­ne di fila nei gironi eliminator­i, stavolta neppure il brodino dell’Europa League. Unica delle quattro squadre italiane a non passare il turno. Gli ottavi di Champions League restano una cosa lontana otto anni (2012). Il problema non era il biscotto degli altri, ma la mancanza di denti dell’Inter: altri 90’ di assedio sterile allo Shakhtar Donetsk, dopo i 90’ di Kiev. La traversa di Lautaro, certo. Le grandi parate del portiere ucraino, certo. Ma questi 180’ restano un inno all’impotenza. Troppe volte, in campionato e in coppa, l’Inter ha faticato a superare una difesa chiusa e schierata, nonostante i grandi numeri della Lu-La. Se i nerazzurri non riescono a correre negli spazi aperti, vanno in affanno. Conte ripete spesso, anche ieri: «Tutti contro di noi si mettono a specchio. Ci temono». Ma invece di esserne orgoglioso, dovrebbe preoccupar­si: se basta mettersi a specchio per fermare una squadra ambiziosa come l’Inter, qualcosa non quadra. Le verità? Bisogna migliorare il gioco e i giocatori.

Senza qualità

Il gioco: dopo i proclami estivi, Conte è rinculato nella purezza del 3-5-2 per trovare equilibri. Di lì non si muove. Anche ieri, nel finale, contro una squadra che non aveva punte, ha mantenuto i tre difensori centrali. Senza interni di rifinitura, se la difesa nemica tappa i buchi e chiude le fasce, è notte fonda. Forse non è un caso che Conte in cinque esperienze di Champions, sia uscito tre volte nel girone e, al massimo, abbia raggiunto i quarti, pur avendo allenato squadroni. I giocatori: sono quelli di grande qualità tecnica che risolvono notti come queste, Eriksen lo stava facendo. Sanchez pure. Tutti e due entrati troppo tardi. L’Europa pretende qualità. Se non ce l’hai, sei condannato a un furore agonistico continuo, impossibil­e da mantenere alla distanza. Il prossimo mercato dovrà tenerne contro. Una sola vittoria nel girone: giusto uscire. Difficile ora parlare di una squadra che sta crescendo: da una finale di Europa League a un anno senza coppe; dai cinque gol allo Shakhtar di luglio, agli zero di ottobre e dicembre. La finale di Colonia doveva essere la base per la crescita di personalit­à e di spessore internazio­nale in questa stagione: tutto vanificato. Per quanto Conte si tappi le orecchie, stavolta sentirà rimbombare la delusione del popolo interista, assolutame­nte legittima.

Toro di legno

Tradiziona­lmente ricco di brasiliani, lo Shakhtar Donetsk non è venuto a fare il fenomeno. Né 4-2-3-1, né 43-3: una bella trincea a cinque che sa di Piave più che di Copacabana. Luis Castro sceglie di contenere il prevedibil­e avvio furioso dei nerazzurri per poi vedere come si mette la notte con un orecchio a Madrid. E fiuta bene il mister, perché l’Inter parte forte e al 7’ Lautaro ha già incrinato la traversa: il recuperato Barella affonda a destra e crossa. Il tiro al volo del Toro è splendido, difetta solamente di fortuna.

Il binario buono corre qua, a destra. Barella e Hakimi cominciano a batterlo con buona intesa, come due ciclisti in fuga, tirano un po’ per uno. Vitao, Maycon e Matviyenko organizzan­o la rete di protezione in fascia. L’Inter attacca con buona intensità, spronata dall’eco dei gol di Madrid che frantumano la paura biscottata. Lukaku lavora da boa centrale in un bosco di ucraini, per offrire sponde e imbucate, ma ogni tanto evade anche in fascia per liberare spazi e assistere da lontano. Allo Shakhtar è bastato togliere ossigeno alla Lu-La per spegnere tutta l’Inter.

L’Inter si spegne

Al 41’, Dodo chiama per la prima volta al lavoro Handanovic con una conclusion­e dalla distanza. Beh, il pericolo era messo in conto e crescerà con il passare del tempo, perché la lunga pressione nerazzurra intossica i muscoli. Con il tempo la stanchezza per l’assedio costante si farà sentire e le gambe fresche di Tete e Taison, che bivaccano in attacco, potrebbero giocare brutte sorprese. Però è anche vero che lo Shakhtar prima o poi dovrà scoprirsi. Con il Real Madrid in vantaggio, gli ucraini, vincendo, passerebbe­ro agli ottavi. Per questo, dopo un primo tempo bloccato, il secondo si spalanca come un mare di possibilit­à, per entrambe le squadre. Ma il primo segnale della ripresa non è una pacca sulle spalle per l’Inter: Trubin vola a scrostare dall’incrocio un colpo di testa in torsione di Big Rom (minuto 8). Bunker chiuso e nerazzurri ancora alla carica, ma sempre meno convinti, confusi e senza la rabbia negli occhi. Un contropied­e che lo Shakhtar spende in superiorit­à e quasi monetizza con Tete e Marlos (19’) segnala l’inizio di un’altra partita: gli ucraini hanno deciso di uscire dal guscio e di cercare gli ottavi di finale. Luis Castro lo conferma inserendo Solomon e Alan Patrick. Conte risponde con Perisic, ma non smonta l’inutile difesa a tre e tarda a inserire altra qualità. Le squadre si allungano. Ora i due pugili sono al centro del ring e pensano solamente a darsele. Entra anche Sanchez per Gagliardin­i: 3-4-1-2. Gli ultimi tre cambi di Conte sono un isterico e tardivo tiro di dadi: esce Lautaro che si arrabbia. Finisce come abbiamo detto. Con lo Shakhtar felice della sua Europa League e l’Inter, ultima del girone, fuori da tutto. Potrà scaricare la rabbia in campionato. Anzi, non avere impegni europei potrà rafforzare la sua candidatur­a allo scudetto. Ma è una consolazio­ne triste. Come il tipo che non può permetters­i il pasto e dice: bene, ora mi metto a dieta.

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AFP Grande occasione Trubin fa un miracolo sul colpo di testa di Lukaku

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