I Rossi, chiama teli campioni
Pablito, Valentino Seba, Jessica e... Un cognome d’oro
Il più diffuso d’Italia ma anche etichetta di un’Italia piena di qualità: e la colonna sonora è di Vasco
Rossi. Basta la parola. Il cognome più diffuso d’Italia, indossato come l’abito di tutti i giorni da quasi centomila famiglie, sembra essere uno dei simboli stessi del nostro Paese, o meglio della sua gente comune, nel senso più sereno dell’aggettivo. Se lo portava addosso, del tutto a proprio agio, anche Paolo, detto Pablito. Un oceano di parole dolci, ricordi teneri, momenti d’orgoglio lo sta cullando nel viaggio più lungo. Lo porterà fino all’isola accessibile solo a pochissimi eroi, quella dei sogni che si realizzano. Fra tutte le mille espressioni dedicate all’uomo del Mundial ’82, ce n’è una, una sola, che stride: la narrazione dell’italiano piccolo e un po’ sfigato, che si prende la rivincita sul Mondo a nome di un Paese gracilino come lui. Non è retorica, ma solo una grande bufala. Ci sarebbe da chiedersi che sentimento d’inferiorità debba mai nutrire un popolo che ha regalato al pianeta il diritto e le strade, Lucrezio e Dante, la Monna Lisa e la Cappella Sistina, l’uomo nuovo e la radio. Mezzo mondo mangia e si veste secondo i suggerimenti che vengono da questa Penisola, l’altra metà lo farà presto. Rimanendo al calcio, Baggio e Rivera, Zola e il divino Diego non erano più strutturati di Paolo. Eppure hanno fatto la storia come lui. E tornando al Paese dei Rossi, ne sentiamo uno arrivare rombando, ovviamente di nome Valentino. Non sembra aver affidato al solo estro italico la sua leggenda di unico pilota ad aver vinto il mondiale in quattro classi: bisogna farsi un mazzo così (diciamo come un tedesco?), per rimanere sulla cresta dell’onda per decenni come lui. Sì, siamo anche costanti, noi italiani. Naturalmente era un Rossi anche suo papà,
Graziano, campione di moto a sua volta. Però ci accusano di essere troppo emotivi, soprattutto dal Nord del Mondo. E allora come avrebbe mai fatto una Jessica Rossi a vincere un’Olimpiade nel tiro a volo, una specialità dove basta un battito di cuore fuori posto per mandare in fumo quattro anni di lavoro? Rispondiamo noi per lei: perché l’italiano «comune» sa anche controllare le emozioni, quando serve.
Stortignaccoli noi? Provate a dirlo guardando un filmato o una foto di Antonio Rossi, una cascata di medaglie olimpiche e mondiali nella canoa. Nei panni del Gladiatore, al posto di Russell Crowe, avrebbe fatto furore perché è l’immagine stessa del legionario romano, nella sua industriosa perfezione, con il volto scolpito dalla storia. E non siamo neanche piccoli in questo Paese: lo sapevate, per esempio, che gli italiani hanno un’altezza media superiore a quella degli statunitensi? E’ così. E certamente piccolo, e nemmeno troppo placido, non è
Sebastiano Rossi, portierone di 1.97 di un Milan trionfante, ricco di scudetti e di coppe: almeno in campo le combinava quasi tutte giuste: ha detenuto fino al 2016 il record di più lunga imbattibilità in serie A. Era portiere anche Dante Rossi, ma nell’acqua, precisamente del Settebello oro all’Olimpiade di Roma 1960; e la pallanuoto, credeteci sulla parola, è uno sport per uomini e donne veri, dove non basta essere furbetti taglia-file. Continuiamo in questa rassegna. Intanto in sottofondo accendiamo una playlist di Vasco Rossi, uno che di sport nella vita ne ha fatto pochino, ma tuttora corre nei boschi per prepararsi alle sue tournee: che musica vorrete mai ascoltare mentre leggete un articolo come questo? Restando nel calcio, è ancora attivo Delio Rossi, tecnico della Lazio che portò a vincere una coppa Italia, sacchiano della prima ora, giusto per ricordare che non sappiamo vincere solo in contropiede, altra fake news che rotola sulle nostre teste da decenni. E non ci piangiamo addosso, nemmeno quando la sfortuna stritola talento e ginocchia, come nel caso di Pepito (Giuseppe) Rossi, uno che ha saputo rialzarsi mille volte di fronte ad un destino fetente, comune del resto ai pari ruolo Baggio e Pablito. Il cognome italiano per antonomasia (a proposito, seguono in classifica Russo, Ferrari, Esposito, Bianchi, Romano, Colombo, Marino e Ricci) è particolarmente radicato in Lombardia e in Emilia, dove nasce e prospera la Rossa per definizione, cioè la Ferrari, che ascriviamo d’autorità nella grande famiglia dei Rossi, il marchio più noto del mondo, più di McDonalds e Coca Cola. Così, tanto per smentire i piagnoni.
Sì, il brand Rossi è sempre andato forte, al punto da avere un bottino olimpico di tutto rispendo, sommando i podi di chi porta quel cognome: 4 medaglie d’oro, 2 d’argento e 4 di bronzo. Più di Israele, come le Filippine e l’Uruguay. Gente veloce, come quel Gino Rossi che sfrecciò all’oro mondiale del bob a 4 nel 1930. Gente coraggiosa e dura come, un altro Gino Rossi, contemporaneo del primo, argento nella boxe all’Olimpiade di Los Angeles 1932, categoria massimi leggeri. Gente che entra nell’inferno (della Roubaix) e ne esce vincitore, nel 1937, come Giulio Rossi, detto Jules perché, nato nella provincia parmense, era emigrato da giovane in Francia. A proposito di emigrazione, naturalmente i Rossi hanno colonizzato il mondo: ce ne sono moltissimi soprattutto in Brasile, Usa, Argentina, Francia, Svizzera e via diffondendosi. E talvolta si affermano anche a livello internazionale nelle nuove nazionalità, vedi l’argentina Mariana nell’hockey prato (bronzo olimpico), e il connazionale Nestor Raul, ex “albiceleste”, anche lui argentino. Perché Rossi e una delle tante eccellenze che esportiamo nel mondo.
Poi la... Rossa Ferrari ma anche Dante che vinse l’oro nel Settebello olimpico, oppure Giulio detto Jules, ciclista Le imprese di Antonio e di Jessica, le sofferenze sempre vinte di Pepito (Giuseppe). Fino a Gino, re del bob nel ‘30