La Gazzetta dello Sport

«La Cina chiusa e senza Covid è un pianeta modello Nba»

Pianigiani: «Dopo Siena e l’Italia ho cercato un’esperienza di vita»

- di Paolo Bartezzagh­i

Il basket «I Beijing Ducks hanno strutture a livello Usa: un altro mondo»

La vita «È normale, i ristoranti sono aperti: mancano solo gli affetti»

Dopo aver toccato i vertici emozionali nella sua Siena e in Nazionale, Simone Pianigiani ha cambiato prospettiv­e e ora allena i Beijing Ducks in Cina.

► Da Istanbul a Gerusalemm­e e Pechino: è un caso?

«No, non ho mai cercato una panchina ma un’esperienza. Qualcosa che mi dia energia. Che mi intrighi, un lavoro totalizzan­te. Cosa posso volere di più, dopo quello che ho vissuto a Siena, dove sono nato, cresciuto dai titoli giovanili alle Final Four di Eurolega, per arrivare alla Nazionale? Difficile rivivere emozioni così forti. Queste città sono posti magici. Ne deve valere la pena per andare il palestra tutti i giorni. Ci vuole il desiderio di esserci. Altrimenti sarei restato a casa a fare clinic, speech, qualche consulenza»

►L’impatto?

«Positivo. Dal punto di vista cestistico inusuale perché per la prima volta sono subentrato a stagione iniziata. E sono entrato direttamen­te nella bolla di Zhuji, giocando ogni 48 ore».

►Come sono i Ducks? «Uffici, club, palestre, tutto è a livello Nba. La squadra, partito Jeremy Lin, si deve completare. Ci sono Jonathan Gibson, ex Brindisi, e Justin Hamilton, ex Nba. L’organizzaz­ione è perfetta. Vedo quello che succede in Europa, partite rinviate, squadre decimate. Qui è un altro mondo». ►Obiettivo? «Il club mi ha cercato anche per crescere nell’organizzaz­ione. È una società con una mentalità occidental­e. Il g.m. è Rick Sund, una vita nella Nba. La presidente­ssa è cinese e sta in California. Il preparator­e atletico e il medico sociale sono americani. In Cina c’è grande attenzione per i coach stranieri: oltre a me, c’è Neven Spahija a Shanghai».

►La lingua?

«L’interprete è indispensa­bile. In squadra i giovani capiscono l’inglese, team manager e il d.s.o sono americani. Con certi arbitri ci vuole l’interprete che è un allenatore che è stato a Ohio State. Per ora non c’è tempo per studiare il cinese. La scrittura è impossibil­e, ma magari più avanti si può provare con la lingua parlata. Certi suoni comincio a capirli». 3Cosa manca di più?

«Gli affetti più che la lontananza a causa della maledetta pandemia. La Cina è chiusa: se si esce, per rientrare si devono fare 14 giorni di quarantena, più altri tre richiesti dalla Cba, la lega cinese. Certo, la tecnologia aiuta a mantenere i contatti».

►Cosa rimane dell’esperienza di Milano?

«Sono molto sereno. Il progetto era in crescita. Fino all’intervallo dell’ultima partita di stagione regolare eravamo ai playoff di Eurolega. In campionato siamo stati imbattuti fino a fine dicembre. Gli infortuni ci hanno messo in difficoltà nei playoff. Poi ci sta che nello sport si cambi. La soddisfazi­one, guardando indietro, non viene dai trofei ma dal fatto che chi mi ha scelto, alla fine del secondo anno, mi ha sempre proposto il prolungame­nto del contratto. A Gerusalemm­e e a Milano. Poi è cambiata la società ed è normale fare altre scelte».

►Com’è la vita in Cina? «Normale, i ristoranti sono aperti. E ci sono quelli italiani. L’Italia è ovunque, a Istanbul, a Gerusalemm­e, a Pechino».

►Quanto durerà?

«Che sia per un mese o per un giorno, io sono già contento».

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AFP Cinese Simone Pianigiani, 51 anni, allena i Beijing Ducks da settembre

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