I NUMERI
che alla vigilia della finale di Madrid lo tenne sveglio in albergo fino alle cinque per parlare della prima guerra mondiale…
«Vero, papà non dormiva mai e se trovava qualcuno con cui parlare di storia faceva l’alba».
3Qual
è l’insegnamento più importante che ha lasciato? «La fedeltà ostinata alle proprie scelte, con assoluta indifferenza agli apprezzamenti della stampa, come gli è stato riconosciuto da tutti in questi giorni in cui si è parlato tanto di Paolo Rossi. Di lui mi ha sempre colpito la tenacia mista a una grande umiltà. E infatti, malgrado la sua ostinazione, quando ero alle medie, mi chiedeva di correggergli le relazioni che scriveva per la federazione».
3In
famiglia come lo ricordate?
«Purtroppo non c’è più la mamma, ma con i miei tre figli, che adorava, proprio l’estate scorsa ricordavo il suo desiderio di avere una grande famiglia. E dicevo: “Che peccato che il nonno non può vederci tutti insieme, con i suoi otto pronipoti che non ha potuto conoscere”».
3Il
mondo del calcio lo ha onorato come meritava?
«Ci sono stati premi e manifestazioni che lo hanno ricordato un po’ ovunque. Soltanto a Milano, la città in cui ha vissuto cinquant’anni, c’è stata meno attenzione per lui. Mi ha fatto piacere che i suoi ragazzi, come li chiamava lui, abbiano proposto di assegnargli l’Ambrogino d’oro alla memoria a dieci anni dalla sua scomparsa». organizzammo in “Gazzetta” per gli 80 anni di Bearzot, e come si è rivisto al funerale di Pablito. Il primo, o meglio l’unico, a credere in lui è stato proprio Bearzot che non aveva chiamato il romanista Pruzzo, capocannoniere dal campionato, per non mettere ancora più in discussione la convocazione di Pablito, come lo aveva soprannominato il giornalista Giorgio Lago in Argentina. I fatti gli hanno dato ragione, perché Rossi è diventato il simbolo dell’Italia mondiale, il capocannoniere capace di segnare tre gol al Brasile, due alla Polonia e uno in finale alla Germania Ovest. Una scelta che soltanto Bearzot avrebbe potuto fare grazie alla sua “onestà feroce”, il più bel complimento ricevuto dai suoi ragazzi. “Onesto” perché non è mai sceso a compromessi con nessuno, “feroce” perché si infuriava per difendere la squadra.
Mai ai tempi supplementari
E con la stessa “onestà feroce” ha preso le distanze dal silenzio stampa deciso dai giocatori, continuando a parlare tutti i giorni «perché rappresento le istituzioni» fino al trionfo finale. Un trionfo unico per il nostro calcio, perché soltanto l’Italia di Bearzot ha vinto un mondiale senza mai andare ai supplementari, dopo aver battuto i campioni del mondo (l’Argentina con Maradona in più) e i campioni d’Europa (la Germania Ovest) e senza nemmeno un oriundo. Nessun record, però, può spiegare l’affetto che legherà per sempre Bearzot ai suoi “ragazzi”, molti dei quali parteciperanno domani alla Messa di suffragio per lui, a Milano. Nel ricordo di un grande uomo, prima che di un grande c.t., dimenticato dalla città dove ha sempre vissuto ma non da chi gli sarà sempre riconoscente, come il suo Pablito. 4’47”
3
I Mondali che ha vissuto sulla panchina della nazionale italiana. Il primo, in Argentina (1978), il secondo in Spagna (1982) dove vince il titolo, il terzo in Messico (1986).
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Le squadre nelle quali ha militato da calciatore. Col Torino ha giocato 7 stagioni, mentre all’Inter ne ha sommate 4. Gli altri due club sono Pro Gorizia e Catania.