La Gazzetta dello Sport

CONTE RITMO TRAP

Poco spettacola­re, ma determinat­a ed efficace come il proprio tecnico: questa squadra ricorda quella dei record

- di Conticello

Il tecnico ha creato una squadra solida, poco spettacola­re ma vincente: che analogie con i campioni ’89 Bergomi: «E se ci fosse anche un Matthäus...»

Antonio Conte ha altri gusti. Britti, Ligabue, Eros, altro che trap, il genere che “spacca” tra i suoi tifosi più giovani. Sono melodie ripetitive, ossessive, in fondo vagamente “contiane”. Anche il calcio automatizz­ato di Antonio sembra quasi correre su una base elettronic­a, ha schemi da mandare a memoria come versi in “auto-tune”. Così Conte viaggia direzione scudetto alla sua maniera, a ritmo di trap che è poi anche il ritmo del Trap, suo maestro nell’antica arte della panchina. Il tecnico nerazzurro sta costruendo un carrarmato a Milano più o meno come fece

Giovanni Trapattoni 32 anni fa. L’Inter dei record (58 punti in un campionato a 18 squadre), quella dell’indimentic­abile 1988-89, triturò gli avversari fino al tricolore numero 13: è un buon modello per questa creatura. Senza rischiare la blasfemia, al netto dell’evoluzione dei tempi e del gioco, si intravede un filo teso tra le due squadre. E pazienza se il rivale non è più Maradona: anche con Ibra e CR7 servirà una certa fatica.

Le mosse

C’è uno stesso spirito forgiato tra le critiche, una simile voglia di superare le difficoltà, un inciampo europeo che può diventare occasione in patria. E un talento pronto a trascinare la truppa. Ieri Lothar Matthäus, campione “totale” arrivato quell’anno assieme a Brehme (oltre a Diaz e Berti), trascinant­e per carisma e qualità. Oggi la leadership è sulle spalle larghe di Romelu Lukaku, che avrà altre doti, ma butta giù i muri come il tedesco. Il belga si intende al buio col gemello Lautaro e quel feeling istintivo ai più romantici ricorderà Serena (capocannon­iere con 22 reti) e Diaz, coppia tra le più micidiali della letteratur­a nerazzurra. E poi ci sono loro, tecnici illuminati dallo stesso passato, ex juventini chiamati a riportare il successo dopo anni a casa della vecchia rivale. Per farlo, non inseguono utopie ma sano realismo. Si vince con la ferocia, lo sapeva il Trap e lo ha imparato l’allievo Conte. E servono scelte radicali: nel 1988 fu venduto un totem come Altobelli, ora è Eriksen ad avere la valigia in mano.

Lo stesso muro

Nel 1991 Trapattoni intravide il carattere d’acciaio del giovane Antonio e lo mandò in campo senza pensarci. Una volta lo incontrò in centro a Torino, triste per un errore della domenica, e gli diede una delle tante carezze da padre: «Tranquillo, che sarà mai...». Negli anni Conte non ha imparato a digerire con leggerezza la sconfitta, ma conosce la praticità trapattoni­ana: la sua Inter troppo naïf di inizio stagione ha cambiato faccia e marcia. Meno bellezza e più solidità, proprio come i campioni di fine anni ‘80: nessuno li ricorda per le bollicine, ma sono nel cuore dei tifosi per il carattere. E tutto grazie a una difesa di ferro: oggi Skriniar e Bastoni chiudono gli spifferi, come facevano capitan Beppe Bergomi e il suo gemello Riccardo Ferri. Andrea Mandorlini, libero vecchia scuola, dirigeva da dietro un po’ come ora De Vrij, centrale in questo rigido 3-5-2. Nessuna delle due difese,

però, è servita a cullare sogni europei: quell’Inter a dicembre cadde col Bayern negli ottavi di Uefa e l’eliminazio­ne è ancora una ferita aperta. All’andata nel gelo bavarese uno 0-2 memorabile, con lo storico coast to coast di Nicola Berti; al ritorno 7’ di follia e patatrac. Uno schiaffone per una squadra partita male anche in Coppa Italia (k.o. con la Viola di Baggio), ma quel gruppo si compattò sulle ceneri, andò oltre gli affanni iniziali e arrivò alla meta a braccia alzate: +11 sul Napoli di Diego.

Tabù e spavalderi­a

Questa Inter ha salutato l’Europa nello stesso mese e con uguali rimpianti, ma ora ha un solo grande obiettivo davanti, lo stesso di allora. E ha una rosa di pregio, soprattutt­o in mezzo: non è un caso che Berti si sia paragonato a Barella, mentre Brozovic inizia a mostrare fosforo da regista quasi quanto Matteoli. Certo,

Vidal non sarà mai Matthäus, ma è anche lui un acquisto straniero chiamato per aggiungere personalit­à. E occhio alle fasce che invertono il destino: il più “tattico” oggi abita a sinistra (Young), mentre allora stava a destra (Bianchi). Al contrario, il Trap sgasava a sinistra con Brehme, altro talento tedesco unico e non replicabil­e, mentre Conte sfonda dall’altro lato con la gioventù di Hakimi. La destinazio­ne è sempre la stessa, anche se la parola “scudetto” è diventata tabù. Oggi alla Pinetina si mordono la lingua piuttosto che usarla, mentre nell’indimentic­ato 1988 tirava tutt’altra aria. «Cosa vi manca per vincere?», chiese la Gazzetta a inizio stagione. «Ma se abbiamo già lo scudetto sulla maglia!», rispose Berti, spavaldo come un vero trapper.

Il parallelis­mo

Come allora fuori dall’Europa, ma può stupire in campionato

In panchina

Due tecnici scuola Juve decisi a vincere a Milano dopo anni

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