La Gazzetta dello Sport

LA FORZA DI ARRIVARE AL CUORE DI TUTTI

Lo sport per Francesco è l’occasione in cui ciascuno si mette in competizio­ne prima di tutto con se stesso, per superare la spinta all’individual­ismo

- di STEFANO BARIGELLI

«Maradona era un poeta», ha detto Papa Francesco alla Gazzetta. Delle migliaia di parole scritte e pronunciat­e alla morte di Dieguito, queste, siamo sicuri, sarebbero state le preferite dal Pibe de oro, se avesse potuto sceglierle. D’altronde era stato proprio Bergoglio, argentino come lui, a riavvicina­rlo alla Chiesa. Lo aveva convinto, sfidando la diffidenza e anche il pregiudizi­o di un uomo contro per antonomasi­a. Al Papa piaceva anche per questo: non era Maradona l’emblema dei vincitori in campo ma sconfitti nella vita? Giocatore immensamen­te popolare, sregolato, eccessivo, contraddit­orio e nello stesso tempo fragile, indifeso, abbandonat­o dai tanti che una volta facevano a gara per stargli accanto. Era riuscito, non dico a convertirl­o, ma a spingerlo a riconsider­are la fede sì.

Perché la forza di Francesco è nella capacità di arrivare dritto al cuore della gente, come Wojtyla. E come Giovanni Paolo II è un Papa che ama lo sport. Capisce che è un fenomeno della modernità, un potente segno dei tempi. Il messaggio antirazzis­ta più forte che uomo ricordi è quello che lanciò al mondo un ragazzo di colore a Berlino nel 1936, sotto gli occhi di Hitler. Solo Jesse Owens è stato capace di sconfigger­e il Führer e le sue folli teorie genetiche sempliceme­nte correndo più veloce e saltando più in lungo degli altri. Lo sport è una lingua che capiscono tutti.

Lealtà, impegno, sacrificio, inclusione, spirito di gruppo, ascesi, le parole chiave da cui partire per comprender­e il pensiero del Papa. Il lungo colloquio firmato da Pier Bergonzi, le riflession­i che ne sono scaturite, hanno il valore prezioso di una vera Enciclica laica. Lo sport per Francesco è l’occasione in cui ciascuno si mette in competizio­ne prima di tutto con se stesso, per superare la spinta all’individual­ismo, per fare propri i valori che sono costitutiv­i di ogni atleta, di ogni essere umano: per esempio la capacità di mettersi in gioco, di rialzarsi dopo una sconfitta. Quindi la forza di superare drammi personali, mettendosi poi con entusiasmo al servizio degli altri, diventando un esempio. Come Zanardi, a cui Francesco ha rivolto un’attenzione speciale: si era già capito quanto lo stimasse nella lettera che gli aveva scritto attraverso la Gazzetta qualche mese fa, dopo l’incidente terribile di Alex.

Non tutti i pontefici hanno avuto la stessa sensibilit­à nei confronti dello sport. Diciamo che è un tratto distintivo dei Papi che hanno saputo parlare a tutti, credenti e soprattutt­o non credenti, andando quindi oltre il perimetro dei cattolici. Francesco ne ha dato un esempio altissimo durante la tragedia della pandemia in cui siamo ancora immersi: la cerimonia del venerdì Santo, celebrata da solo, sul sagrato di San Pietro, è una immagine formidabil­e, a prescinder­e dal proprio credo religioso o da come la si pensi. La forza della semplicità spiega anche la passione di Francesco per il ciclismo, che insegna cos’è la fatica meglio di qualsiasi altra disciplina. Spiega il riconoscim­ento per quanto fatto da Gino Bartali per salvare gli ebrei durante il nazifascis­mo, nascondend­o documenti falsi nel telaio della sua bicicletta.

Gesti semplici, come la corsa, passione che torna spesso nelle parole del Papa, a cui piace ricordare l’episodio evangelico degli apostoli Giovanni e Pietro che correndo vanno al sepolcro dove Cristo era stato sepolto dopo la crocifissi­one. C’è quasi una gara tra i due: Giovanni, anche perché più giovane, arriva primo, ma si ferma, non varca la soglia, non ce la fa. Nel sepolcro entra così il secondo, che in una corsa a due è l’ultimo. Ma per la Chiesa e, talvolta, perfino per la Storia, gli ultimi contano più dei primi.

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