L’urlo di Becky
Espulso Popovich: contro i Lakers esordio da head coach a San Antonio «Mi sento un tedoforo». LeBron: «Bello vederla guidare la squadra» HAMMON, PRIMA VOLTA DA “CAPO” «RAGAZZE, ORA SOGNATE ANCHE VOI»
Frase di Becky Hammon quando, nel 2014, divenne assistente allenatrice dei San Antonio Spurs: «Gli uomini sono troppo grandi e forti. Una donna non potrà mai giocare con loro. Ma quando la faccenda diventa “mentale”, come allenare, stendere un piano gara, avere a che fare con gli schemi, non ci sono motivi per i quali una donna non possa avere un ruolo nello sport maschile». La previsione si è trasformata in realtà. Becky, proprio lei, 43 anni compiuti nel marzo scorso, è diventata la prima donna a guidare ufficialmente una squadra Nba. Scrivendo una pagina di storia.
Barriera abbattuta
È successo nella notte italiana di mercoledì. All’AT&T Center della città texana, all’8’04” del secondo quarto di una sfida contro i Los Angeles Lakers (persa 121-107 e replicata la notte scorsa): coach Gregg Popovich è stato espulso dall’arbitro Tony Brown per proteste successive a un possibile fallo non fischiato su DeMar DeRozan. Pop, avviandosi furente verso gli spogliatoi, ha puntato il dito verso di lei, come a suggellare un passaggio di consegne. Partiti Tim Duncan ed Ettore Messina, in panchina è Becky la sua prima alternativa. E lei, da lì in poi, ha seguito la partita in piedi a bordo campo, dirigendo i time-out. Facendo sì che lo sport femminile abbattesse un’altra barriera. «Ho cercato di concentrarmi sulla partita - dirà al termine - e non al quadro complessivo o agli aspetti ad esso collegati. Avrebbero potuto travolgermi. Non ho avuto tempo di riflettere o di pensare: ho solo cercato di motivare i ragazzi e di fare le mosse giuste. Certo finire con una vittoria avrebbe avuto tutt’altro sapore».
Tutti con lei
Tutti hanno espresso apprezzamenti per il suo operato: «Ci sarebbe tanto piaciuto regalarle un successo - ha dichiarato lo stesso DeRozan - ma per noi, nella sostanza, è tutto abbastanza relativo. Siamo abituati a ricevere le sue indicazioni». «Becky, nelle scorse stagioni, ha fatto la gavetta che doveva fare - ha commentato King LeBron James, 26 punti nel giorno del 36° compleanno - e coach Pop ora le ha offerto l’opportunità che meritava. È meraviglioso sentirla gridare verso i suoi giocatori. Dimostra grande passione per quel che fa: complimenti a lei e complimenti all’Nba». Anche il capo allenatore avversario l’ha omaggiata: «È arrivata sin qui per un motivo - ha sostenuto Frank Vogel - è capace, competente, motivata. E molto preparata. Sarà presto una grande capo allenatrice». A dirla tutta, qualche (mezza) occasione, nel recente passato, l’ha già avuta: per esempio con Milwaukee nell’estate 2018 (le preferirono Mike Budenholzer) e con New York un anno fa. Se n’è fatto nulla in entrambi i casi. Ma il nome circola con sempre più insistenza e prima o poi l’occasione giusta capiterà. Pare valuterà unicamente proposte contrattuali a lungo termine...
Il murale
Becky ha aperto una strada. Sulla quale si dovrà proseguire a camminare. Anzi, a correre. E si badi: se lei - veterana del gruppo - è arrivata sin dove è arrivata, altre nove sono le donne attualmente presenti negli staff tecnici delle franchigie Nba, con Jenny Boucek, ai Dallas Mavericks dal 2017 dopo aver lavorato nello staff dei Sacramento Kings, probabilmente la più nota. «Never stop» («Mai smettere»), recita un gigantesco murale a lei dedicato, affrescato dall’artista
Sebastian Boileau in Broadway Street, nel quartiere di Lincoln Heights a San Antonio. «Mai smettere di sognare - ha spiegato in occasione dell’inaugurazione di poche settimane fa -: non mi sento un modello o una figura di riferimento. Ma so che ci sono molte ragazzine in giro per il mondo che si ispirano a me per provare a realizzare i propri obiettivi. In questo senso avverto in pieno la responsabilità e mi sento come un tedoforo, come chi porta una fiaccola per illuminare la via ad altri. Interpreto il ruolo con serietà e con tutta la determinazione della quale sono capace. So di avere molti occhi addosso: ecco perché le sfide da affrontare e le montagne da scalare che mi si parano di fronte sono sempre più alte». Popovich in luglio, trattandola come tutti i suoi collaboratori, le aveva già fatto dirigere un’amichevole nelle bolla. Becky, di diverso dai colleghi, ha solo lo spogliatoio. E, dall’altra notte, una pagina di storia firmata col suo nome.
Non mi sento un modello, ma ci sono molte giovani che si ispirano a me per provare a realizzare i loro obiettivi BECKY HAMMON