Il ciclismo è più legato al Cio: debutta il nuovo antidoping
È un gioco di sigle, da Cadf a Ita, ma nasconde un cambiamento sostanziale. L’antidoping del ciclismo cambia ed è sempre più lontano dall’Uci, la federazione internazionale.
A cominciare dalla sede in Svizzera: da Aigle (uffici nello stesso edificio dell’Uci) a Losanna, la città del Cio, il Comitato olimpico. Da ieri i controlli non sono più fatti dalla Cadf (14.333 nel 2019), la Fondazione antidoping indipendente creata nel 2008 e rafforzata nel 2013 (con la guida di Francesca Rossi) dopo lo scandalo Armstrong: arriva la «Ita», acronimo di International Testing Agency, l’agenzia internazionale che da anni esegue i test (anche a sorpresa) per le federazioni internazionali (sono più di 40). La Ita è un’organizzazione costituita come una fondazione no-profit indipendente, voluta dal Cio, con il sostegno della Wada (Agenzia mondiale antidoping), per uniformare gli standard ed evitare che l’antidoping possa restare confinato (con tutti i lati anche negativi) all’interno delle federazioni stesse. L’Uci, la federciclo mondiale guidata dal presidente David Lappartient, ha votato all’unanimità il 31 gennaio 2020 per trasferire tutte le operazioni all’Ita: undici dipendenti Cadf sono passati a lavorare in una sezione specifica dell’Ita, in modo da portare l’enorme bagaglio di conoscenze ed esperienze. «Il ciclismo avrà beneficio da aree comuni come ricerca, innovazione e indagini internazionali, e anche dalla ripartizione di costi e risorse», si legge nel documento Uci. Lo scandalo Aderlass (dallo sci di fondo al ciclismo) ha fatto capire quanto sia necessario rafforzare ancor più la collaborazione tra gli stati e la condivisione delle indagini.