Agnelli e il calcio post-Covid «Club e atleti sono centrali»
Le idee di Andrea Agnelli sul calcio del futuro sono chiare da tempo. Il presidente di Juventus ed Eca si è spinto un passo oltre in un articolo scritto per il primo numero del magazine “Linkiesta Forecast”, nuovo progetto del direttore Christian Rocca in collaborazione con il New York Times. Agnelli si dimostra molto preoccupato per le conseguenze del Covid: “I dilettanti non giocano quasi più, i giovani non si avvicinano allo sport e i consumatori devono selezionare molto più di prima - scrive -. Nel frattempo, si affaccia definitivamente la nuova generazione Z, che ha valori, oltre che interessi, molto diversi da chi l’ha preceduta”. Agnelli insomma sostiene che il modello di calcio a cui siamo abituati, fatto di milioni di praticanti, scalata dalle serie minori alla Serie A e guadagni milionari sia in crisi. Semplificando: se il vertice della piramide va in difficoltà economica, tutto il sistema finirà per entrare in crisi. La questione centrale però, chiarisce subito, non sono i soldi.
Potere ai club
Agnelli piuttosto si concentra sulla ripartizione del potere decisionale, suo cavallo di battaglia da anni: “Fifa e confederazioni sono regolatori, organizzatori, broker e distributori del prodotto principale. I calciatori sono protagonisti, ma non hanno quasi nessun potere decisionale rispetto a impegni e calendari. Gli imprenditori o gli investitori si assumono il rischio, ma non possono determinare formati e regole d’accesso e incassano proventi tramite l’intermediazione di autorità terze”. Come dire, Fifa e Uefa gestiscono il calcio senza assumere il rischio di impresa. Ecco il cambiamento per cui Agnelli spinge da tempo, nel suo ruolo di presidente dell’Eca: più potere a club e calciatori, con uno “schema lavoratore-datore di lavoro interamente rinnovato” e l’idea di aumentare i ricavi (eccoli, i soldi) e poi ridistribuirli. Sarà la battaglia dei prossimi tre anni.