La Gazzetta dello Sport

Gli undici di Luna Rossa La Nazionale della vela

- di Giorgio Specchia

Luna Rossa è come la Ferrari, ma non c’entra il nome che richiama il colore della livrea della monoposto di Maranello. E non c’entra nemmeno il concetto di velocità che sa esprimere questa imbarcazio­ne volante da cento all’ora sull’acqua. Luna Rossa è come la Ferrari perché ha la forza di far parlare di vela anche la gente che solitament­e sa esaltarsi solo per un gol di Lukaku, di Ibra o di CR7. O, al massimo, per un sorpasso di Leclerc. È già successo e succederà anche questa volta, nell’America’s Cup che inizierà settimana prossima ad Auckland, in Nuova Zelanda. Luna Rossa piace perché, come la Ferrari, è considerat­a una Nazionale, lo stesso sentimento che nel 1983 accompagnò la prima avventura italiana con Azzurra, dello Yacht Club Costa Smeralda.

Un anno dopo la vittoria dell’Italia al Mondiale di calcio in Spagna, gli sportivi scoprirono di poter tifare anche per la vela. Per Azzurra, come per gli azzurri. Magari senza capirci niente e senza aver mai sentito parlare prima dell’America’s Cup che esisteva già dal 1851. Quella barca, vela d’epoca rispetto a Luna Rossa, entrò nel cuore della gente. Diventò popolare. Fece parlare gli Yacht Club ma anche i bar, l’Aga Khan e Gianni Agnelli (i registi dell’operazione) ma anche gli impiegati e gli operai. E così è stato per il Moro di Venezia e per le altre Luna Rossa che hanno provato a sfidare il mondo. Questa Luna sembra tanto una Formula 1 del mare, neanche lontana parente di Azzurra, ma il fascino della sfida è rimasto intatto. Sull’imbarcazio­ne di Patrizio Bertelli si “gioca” in 11. Non ci sono portieri, difensori, centrocamp­isti e attaccanti, ma timonieri e grinder. La Nazionale della vela.

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