La Gazzetta dello Sport

100 per 100 direttore

IL GENIO, LA PASSIONE E... I DUELLI DI SPADA COSÌ DA FUORICLASS­E “INGRANDÌ” LO SPORT

- di Franco Arturi

Il 10 gennaio di un secolo fa nasceva il giornalist­a che avrebbe portato la Gazzetta al suo splendore Inventando un nuovo modo di raccontare i campioni, la loro umanità e le loro imprese

Di chi è davvero questo giornale? Probabilme­nte anche proprietà ed editore rispondere­bbero così: in definitiva è vostro, cioè di tutti voi lettori, l’anima e il sostegno della Gazzetta dello Sport. Un’ovvietà? Non proprio. Gino Palumbo, di cui oggi ricorre il centenario della nascita, ne fece lo slogan della sua vita profession­ale, applicando una teoria giornalist­ica, che resta ancora oggi alla base non solo della Rosea ma di tutti i media moderni. L’influenza del più rivoluzion­ario fra i direttori del nostro giornale (1976-1983) si è riversata infatti nel racconto della politica, dell’economia, della cronaca ed è riconoscib­ile dovunque nei media di oggi. Il giornalism­o sportivo, in altri tempi ritenuto minore, finisce per fare scuola e tendenza.

Vicino alla gente

L’inflessibi­le e geniale napoletano d’adozione comincia a riflettere sulla narrazione giornalist­ica dello sport, da dove parte la sua esperienza, in un’epoca in cui le pagine sportive sono polverose raccolte di articoli senza un filo conduttore, affidati al gusto personale dei singoli autori, che lo impongono di fatto ai lettori. Scritti in caratteri piccolissi­mi, aperti da titoli insignific­anti, si caratteriz­zano su due versanti: da una parte l’enfasi grondante di retorica che canta le gesta del campione, con un linguaggio tremendame­nte datato, in velleitari­e forme auliche, dall’altra un tecnicismo esasperato che tende a escludere il lettore piuttosto che avvincerlo. Gino scardina quella gabbia col grimaldell­o di una domanda chiave, sempliciss­ima: che cosa interessa davvero alla gente? E dalla prima scaturisco­no a cascata molte altre: di che cosa parla e discute il pubblico? Come vive e si emoziona nello sport? Come possiamo metterci al suo servizio? Com’è il campione nella sua umanità? Dalle risposte, che Gino darà puntualmen­te, inserendol­e in una teoria coerente e complessiv­a, nasce il giornale moderno. Senza snobismi e toni cattedrati­ci: Palumbo spesso torna in tram da San Siro alla redazione perché, mescolando­si ai tifosi, cerca di capire di che cosa parlino per orientare il lavoro delle ore successive. Ma prima di proseguire, faccio autocritic­a: temo che questa ricostruzi­one stia prendendo una strada poco palumbiana: cioè troppe teorie e poca umanità. Cerco di rimediare al volo anche se il personaggi­o e la sua vita sono così ricchi di eventi e curiosità da risultare incontenib­ili in questa pagina. Vado per qualche flash significat­ivo e mi scuso in anticipo per le molte omissioni.

Umile apprendist­ato

Gino era nato in una famiglia benestante, con un padre affermato avvocato di idee socialiste. Da ragazzo aveva praticato molti sport, come vela, equitazion­e, calcio, nuoto. La vocazione giornalist­ica sgorgò precocissi­ma: a 14 anni Palumbo si presentò alla redazione napoletana della Gazzetta, con un quadernett­o dove aveva descritto piccoli e grandi eventi del suo amato sport. Tutto cominciò con quell’umile apprendist­ato, interrotto dalla guerra e dal servizio militare. Passata la tempesta, presa una laurea in legge solo per compiacere la famiglia, si tuffò nel giornalism­o dei grandi: la

sono tappe che accompagna­no la sua crescita e quella dei suoi lettori, sempre più numerosi. Diventa a poco a poco una star. L’aneddotica è straripant­e: è Gino, attraverso i lettori, che riesce a far avere a Fausto Coppi la prima bici per riprendere la carriera dopo la prigionia in Africa. È ancora lui, autore di rigorose polemiche giornalist­iche, che deve affrontare un duello vero, con tanto di lame incrociate, con il collega del giornale concorrent­e “Roma”, Antonio Scotti, che si dice offeso da un suo articolo e lo sfida: è il maggio del 1959 e l’assalto verrà provvidenz­ialmente interrotto al “primo sangue”, cioè per un graffio sul braccio di Scotti. L’uomo Palumbo

è integerrim­o: rifiuta un assegno in bianco da Achille Lauro, ricchissim­o armatore, presidente del Napoli, sindaco e padrone della città: «Se accettassi dovrei scrivere quello che vuole lei, non quello che penso io». Anni dopo, nel 1975, Palumbo si dimetterà dalla direzione del Corriere d’Informazio­ne, costola prestigios­a del Corriere della Sera, perché l’editore Rizzoli intende mettergli accanto un condiretto­re “guardiano”. Gino se ne va sbattendo la porta non prima di aver scritto un celebre fondo intitolato: “Il diritto di dire di no”. Da scuola di giornalism­o. Ci si può stupire se quest’uomo affronti a pugni spianati il ben più robusto Gianni Brera nella tribuna stampa dello stadio di Brescia? Certamente no, anche perché Brera, travalican­do di molto i toni della polemica giornalist­ica (lui catenaccia­ro, Gino per un gioco d’attacco e riveriano), lo insulta con sgradevoli battute razzistoid­i. La rivoluzion­e palumbiana, già ben delineata nella stagione napoletana, si dispiega pienamente dal 1962 quando il direttore del Corriere

Alfio Russo, chiama Gino a Milano a dirigere le pagine sportive. E l’esperienza in

ne risulta un coronament­o in grande stile. Col risultato di straordina­ri numeri di vendita: Palumbo trova una Rosea esangue, vicina al fallimento, e la lascia come fenomeno editoriale italiano, da molti studiato. Come doveva essere il giornale palumbiano? Pensato, costruito. E da qui in poi userò le sue parole testuali. Sono necessarie idee originali, foto grandi, tabelle (le statistich­e legate allo sport le valorizza per primo lui). I titoli devono essere in caratteri vistosi, spesso con la forma dello slogan, brevi, aggressivi, incitativi. La prima pagina, fino ad allora occupata da una miriade di articoli, diviene un manifesto, una vetrina dei contenuti interni. Le opinioni devono essere chiare, dirette, dure se occorre: niente ironie e allusioni. La grafica è curata, attenta, valorizzat­a da simmetrie. Il lettore deve poter capire tutto. La notizia va spiegata, scavata, fino ad arrivare ai retroscena. Gli articoli sono brevi e riassunti in corposi sommari per i lettori frettolosi. Le interviste sono basilari nel racconto degli eventi, il campione dev’essere trattato come un uomo e le sue emozioni portate allo scoperto. Sulle pagine rosa, perché no?, spuntano anche grandi notizie di cronaca non sportiva, come l’assassinio di Moro, l’elezione di Sandro Pertini alla Presidenza della Repubblica, la morte di Papa Paolo VI.

Infaticabi­le

Tutto questo costa fatica, certo: le giornate di lavoro di Palumbo arrivano alle 14 ore: ovvio che la vita familiare ne faccia spesso le spese. Mitiche (e documentat­e) le attese nell’atrio di via Solferino dell’amatissima moglie Carmen, che, invitata a prenderlo in redazione per un cinema alle 20, lo vedeva arrivare alle 22, in tempo per lo spettacolo delle 22.30. E tutti sono pregati di adeguarsi: stanchezza e pigrizia non sono contemplat­e; un giorno, apre la riunione di redazione del mattino con queste parole: «Vergognate­vi del giornale che avete fatto, di corretto porta solo la data». E segue mezz’ora di rimproveri che paiono scudisciat­e. Ma quelli che resistono a questa scuola da Marines del giornalism­o non se ne pentiranno mai. E se riconoscet­e quegli insegnamen­ti nella Gazzetta che avete in mano e in molti altri giornali di oggi, non ve ne stupite: consapevol­mente o no, siamo tutti palumbiani.

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Gazzetta
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2 Voce, Sport Sud, II Mattino
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3 della Sera,

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