100 per 100 direttore
IL GENIO, LA PASSIONE E... I DUELLI DI SPADA COSÌ DA FUORICLASSE “INGRANDÌ” LO SPORT
Il 10 gennaio di un secolo fa nasceva il giornalista che avrebbe portato la Gazzetta al suo splendore Inventando un nuovo modo di raccontare i campioni, la loro umanità e le loro imprese
Di chi è davvero questo giornale? Probabilmente anche proprietà ed editore risponderebbero così: in definitiva è vostro, cioè di tutti voi lettori, l’anima e il sostegno della Gazzetta dello Sport. Un’ovvietà? Non proprio. Gino Palumbo, di cui oggi ricorre il centenario della nascita, ne fece lo slogan della sua vita professionale, applicando una teoria giornalistica, che resta ancora oggi alla base non solo della Rosea ma di tutti i media moderni. L’influenza del più rivoluzionario fra i direttori del nostro giornale (1976-1983) si è riversata infatti nel racconto della politica, dell’economia, della cronaca ed è riconoscibile dovunque nei media di oggi. Il giornalismo sportivo, in altri tempi ritenuto minore, finisce per fare scuola e tendenza.
Vicino alla gente
L’inflessibile e geniale napoletano d’adozione comincia a riflettere sulla narrazione giornalistica dello sport, da dove parte la sua esperienza, in un’epoca in cui le pagine sportive sono polverose raccolte di articoli senza un filo conduttore, affidati al gusto personale dei singoli autori, che lo impongono di fatto ai lettori. Scritti in caratteri piccolissimi, aperti da titoli insignificanti, si caratterizzano su due versanti: da una parte l’enfasi grondante di retorica che canta le gesta del campione, con un linguaggio tremendamente datato, in velleitarie forme auliche, dall’altra un tecnicismo esasperato che tende a escludere il lettore piuttosto che avvincerlo. Gino scardina quella gabbia col grimaldello di una domanda chiave, semplicissima: che cosa interessa davvero alla gente? E dalla prima scaturiscono a cascata molte altre: di che cosa parla e discute il pubblico? Come vive e si emoziona nello sport? Come possiamo metterci al suo servizio? Com’è il campione nella sua umanità? Dalle risposte, che Gino darà puntualmente, inserendole in una teoria coerente e complessiva, nasce il giornale moderno. Senza snobismi e toni cattedratici: Palumbo spesso torna in tram da San Siro alla redazione perché, mescolandosi ai tifosi, cerca di capire di che cosa parlino per orientare il lavoro delle ore successive. Ma prima di proseguire, faccio autocritica: temo che questa ricostruzione stia prendendo una strada poco palumbiana: cioè troppe teorie e poca umanità. Cerco di rimediare al volo anche se il personaggio e la sua vita sono così ricchi di eventi e curiosità da risultare incontenibili in questa pagina. Vado per qualche flash significativo e mi scuso in anticipo per le molte omissioni.
Umile apprendistato
Gino era nato in una famiglia benestante, con un padre affermato avvocato di idee socialiste. Da ragazzo aveva praticato molti sport, come vela, equitazione, calcio, nuoto. La vocazione giornalistica sgorgò precocissima: a 14 anni Palumbo si presentò alla redazione napoletana della Gazzetta, con un quadernetto dove aveva descritto piccoli e grandi eventi del suo amato sport. Tutto cominciò con quell’umile apprendistato, interrotto dalla guerra e dal servizio militare. Passata la tempesta, presa una laurea in legge solo per compiacere la famiglia, si tuffò nel giornalismo dei grandi: la
sono tappe che accompagnano la sua crescita e quella dei suoi lettori, sempre più numerosi. Diventa a poco a poco una star. L’aneddotica è straripante: è Gino, attraverso i lettori, che riesce a far avere a Fausto Coppi la prima bici per riprendere la carriera dopo la prigionia in Africa. È ancora lui, autore di rigorose polemiche giornalistiche, che deve affrontare un duello vero, con tanto di lame incrociate, con il collega del giornale concorrente “Roma”, Antonio Scotti, che si dice offeso da un suo articolo e lo sfida: è il maggio del 1959 e l’assalto verrà provvidenzialmente interrotto al “primo sangue”, cioè per un graffio sul braccio di Scotti. L’uomo Palumbo
è integerrimo: rifiuta un assegno in bianco da Achille Lauro, ricchissimo armatore, presidente del Napoli, sindaco e padrone della città: «Se accettassi dovrei scrivere quello che vuole lei, non quello che penso io». Anni dopo, nel 1975, Palumbo si dimetterà dalla direzione del Corriere d’Informazione, costola prestigiosa del Corriere della Sera, perché l’editore Rizzoli intende mettergli accanto un condirettore “guardiano”. Gino se ne va sbattendo la porta non prima di aver scritto un celebre fondo intitolato: “Il diritto di dire di no”. Da scuola di giornalismo. Ci si può stupire se quest’uomo affronti a pugni spianati il ben più robusto Gianni Brera nella tribuna stampa dello stadio di Brescia? Certamente no, anche perché Brera, travalicando di molto i toni della polemica giornalistica (lui catenacciaro, Gino per un gioco d’attacco e riveriano), lo insulta con sgradevoli battute razzistoidi. La rivoluzione palumbiana, già ben delineata nella stagione napoletana, si dispiega pienamente dal 1962 quando il direttore del Corriere
Alfio Russo, chiama Gino a Milano a dirigere le pagine sportive. E l’esperienza in
ne risulta un coronamento in grande stile. Col risultato di straordinari numeri di vendita: Palumbo trova una Rosea esangue, vicina al fallimento, e la lascia come fenomeno editoriale italiano, da molti studiato. Come doveva essere il giornale palumbiano? Pensato, costruito. E da qui in poi userò le sue parole testuali. Sono necessarie idee originali, foto grandi, tabelle (le statistiche legate allo sport le valorizza per primo lui). I titoli devono essere in caratteri vistosi, spesso con la forma dello slogan, brevi, aggressivi, incitativi. La prima pagina, fino ad allora occupata da una miriade di articoli, diviene un manifesto, una vetrina dei contenuti interni. Le opinioni devono essere chiare, dirette, dure se occorre: niente ironie e allusioni. La grafica è curata, attenta, valorizzata da simmetrie. Il lettore deve poter capire tutto. La notizia va spiegata, scavata, fino ad arrivare ai retroscena. Gli articoli sono brevi e riassunti in corposi sommari per i lettori frettolosi. Le interviste sono basilari nel racconto degli eventi, il campione dev’essere trattato come un uomo e le sue emozioni portate allo scoperto. Sulle pagine rosa, perché no?, spuntano anche grandi notizie di cronaca non sportiva, come l’assassinio di Moro, l’elezione di Sandro Pertini alla Presidenza della Repubblica, la morte di Papa Paolo VI.
Infaticabile
Tutto questo costa fatica, certo: le giornate di lavoro di Palumbo arrivano alle 14 ore: ovvio che la vita familiare ne faccia spesso le spese. Mitiche (e documentate) le attese nell’atrio di via Solferino dell’amatissima moglie Carmen, che, invitata a prenderlo in redazione per un cinema alle 20, lo vedeva arrivare alle 22, in tempo per lo spettacolo delle 22.30. E tutti sono pregati di adeguarsi: stanchezza e pigrizia non sono contemplate; un giorno, apre la riunione di redazione del mattino con queste parole: «Vergognatevi del giornale che avete fatto, di corretto porta solo la data». E segue mezz’ora di rimproveri che paiono scudisciate. Ma quelli che resistono a questa scuola da Marines del giornalismo non se ne pentiranno mai. E se riconoscete quegli insegnamenti nella Gazzetta che avete in mano e in molti altri giornali di oggi, non ve ne stupite: consapevolmente o no, siamo tutti palumbiani.