Una donna sola al comando U
di Simone Battaggia na «pera», come dice lei. Come quella che aveva appioppato a tutte tre anni fa a Bad Kleinkirchheim. Altro che gara serrata, altro che distacchi minimi: Sofia Goggia si divora la discesa di St. Anton con prepotenza, attacca ogni singola curva, sfrutta ogni centimetro di pendenza per fare velocità, affonda le lamine con fiducia lì dove le avversarie portano troppo rispetto alla neve. Ha addosso il pettorale 5 ma quando arriva al traguardo in 1’24”06 — quasi un secondo e mezzo meno dei migliori tempi in prova — è chiaro a tutti che per passarle davanti servirà un miracolo. E infatti: l’austriaca Tamara Tippler sarà seconda a 96 centesimi, la statunitense Breezy Johnson terza a 1”04. Entrambe felici sul podio con la loro bella pera sul groppone. «Modestia a parte, questa volta rispetto alle altre ho fatto un altro sport» chioserà in serata Sofia dedicando il successo al padre Ezio, che ieri compiva gli anni.
In bolla
Val d’Isère non era un fuoco di paglia. SuperGoggia è tornata, più forte degli infortuni, temprata nello spirito dopo mesi di sofferenza interiore. All’attacco, come è sempre stato nella sua indole. Nona vittoria in carriera in Coppa del Mondo — superata Karen Putzer, ora è quarta tra le italiane —, seconda stagionale, pettorale rosso di leader della classifica di discesa confermato, terzo posto in quella generale e soprattutto la sensazione di aver raggiunto una forma strepitosa nel momento più importante, a ridosso dei Mondiali di Cortina. Sofia sta incredibilmente bene, sotto tutti i punti di vista. È in bolla, come dice lei. «E quando sono in bolla, metto giù il piede dove le altre lo alzano».
Ados!
Alla vigilia la bergamasca aveva lanciato il suo grido di battaglia: «Ados!». Cioè, nel suo dialetto: addosso, all’attacco, senza paura. «Sapevo che l’atteggiamento avrebbe fatto la differenza — dirà più tardi —. Temevo la prima parte di gara ma nella seconda ho preso velocità. Dopo il secondo intermedio c’era una curva sul piede destro in contropendenza che andava anticipata. È la sola che avevo sempre azzeccato, anche in prova. La verità è che mi è entrata la velocità. La discesa non è tanto una questione di linee, ma di qualità degli appoggi, di energia, di lettura delle pendenze. Qui avevo vinto anche nel 2013 in Coppa Europa. È passato tanto tempo, ma se c’è qualcosa che non è cambiato e di cui sono orgogliosa è il pelo sullo stomaco». È suggestivo che la bergamasca mostri il meglio del suo essere discesista in località come Bad Kleinkircheim e St. Anton, dove le piste sono dedicate rispettivamente a Franz Klammer e a
Karl Schranz. «Il bello è che a Natale mi sono riguardata i documentari delle discese degli anni 70. Ero lì sul divano dei miei a godermi quelle gare con le balle di fieno, la gente a bordo pista e gli aghi di pino al posto del colorante». Ed è altrettanto suggestivo che Sofia si sia imposta con un margine del genere lì dove Lindsey Vonn aveva vinto nel 2007. «Ho rivisto il video, aveva fatto una gara simile alla mia, vincendo nella parte bassa. Non mi sento però “dominante” in discesa come è stata a lungo Lindsey. E poi lei ha vinto 82 gare».
Gli appunti di Rulfi
Gianluca Rulfi, responsabile dell’Élite, si gode un’altra giornata di gloria delle sue ragazze. Ha un po’ di rammarico per una
Brignone (15a) e una Bassino (13a) rimaste in disparte — oggi in superG cercheranno il riscatto — e riconosce la grandezza della prova di Sofia. Però non le risparmia i suoi appunti. «Ha fatto una bella cosa, ma non è ancora in sicurezza totale. Dal punto di vista cronometrico ha fatto il vuoto eppure sciisticamente ha fatto maluccio. Quando vedi un gigantista fare una bella manche capisci se l’ha fatta perché è andata bene o perché è Pinturault. Lei deve tendere a questo tipo di espressione. Devi riuscire a spingere al massimo senza scendere alla scavezzacollo. La vedo ancora troppo passiva e instabile». «Gianluca vorrebbe da me la perfezione — si schernisce con un sorriso la bergamasca —. Forse ho sbagliato qualcosa, facendo le cose giuste potrei vincere con margine, ma il mio è comunque un work in progress». Quando scia, Sofia mostra il suo stato d’animo. Ora è in versione wild, e funziona. «Ho fatto un lavoro radicale su di me, strutturale.Negli anni 80, in America, fecero un esperimento, Biosfera 2. Misero in una serra delle piante e degli uomini, ma nessun animale. A un certo punto gli alberi iniziarono a cadere. Si scoprì che mancava loro il vento che scuotendoli avrebbe permesso loro di radicarsi. Significa che il vento che ogni tanto soffia nella tua vita ti aiuta, perché ti radica di più». Inimitabile Sofia.