OCCHIO CONTE ARRIVA LA JUVE
CONTE, OCCASIONE PERSA E LA ROMA RINGRAZIA NERAZZURRI GIÙ A -3 E ORA LO SCOGLIO JUVE
Pesano gli errori delle panchine Fonseca ritarda troppo i cambi: dopo il vantaggio di Pellegrini, Skriniar e Hakimi lo rimontano Antonio sbaglia le sostituzioni ed è beffato da Mancini sul finale C’è l’esame Pirlo per lo scudetto
Una partita divertente, un pareggio onesto e un risultato che piace molto di più a Milan e Juventus piuttosto che a Roma e Inter. Il duello dell’Olimpico, tra la seconda e la terza del campionato, era un bosco d’iniziazione. Tipo quelli delle tribù
in cui un ragazzo ci passa la notte e, attraverso un’esperienza di sofferenza, esce uomo. Roma e Inter sono uscite imperfette come prima. Il salto di maturità è stato rimandato a un’altra esperienza. Gli allenatori che hanno accompagnato le due squadre nel bosco non le hanno aiutate. Anzi. Non capita spesso di avere la sensazione che tra i peggiori protagonisti di una partita ci siano entrambi i tecnici. Ieri è successo.
Guida Villar
Fonseca ha lanciato il primo messaggio scegliendo Villar invece che Cristante. Scelta non banale, perché, contro la squadra più fisica del campionato, sarebbe stato più logico aspettarsi il muscolare Cristante che ha anche centimetri da spendere per intercettare in cielo la formazione di A che ha segnato più gol di testa. Invece Fonseca, coraggiosamente, ha preferito il palleggio del ragazzino spagnolo accanto alle geometrie di Veretout, per ricalcare con forza l’identità di casa: «Noi giochiamo il pallone, non lo lanciamo. Noi allarghiamo il campo per attaccare la porta centralmente e riempire l’area di qualità». E così è successo, anche se l’Inter è partita meglio, attaccando subito la profondità con Lautaro; anche se Villar ha sbagliato subito qualche fraseggio in uscita. Ma la Roma è cresciuta ed è passata in vantaggio nel solco della sua identità. Karsdorp e Spiprimitive, sempre larghissimi e altissimi, ad altezza Dzeko e i due trequartisti che convergono per attaccare gli interspazi tra i tre difensori di Conte. Aggressione a cinque del fortino nemico. Minuto 17’. Mkhitaryan si riceve da Dzeko, e innesca Pellegrini, omologo tra linee, che fulmina Handanovic, tradito da una deviazione di Bastoni. Aggancio virtuale al secondo posto. L’armeno e Veretout sfiorano il 2-0. È il momennazzola to migliore della Roma che celebra la propria idea, palleggiando e ripartendo veloce. Nella ripresa entra in campo un’Inter furiosa. Si sa: la squadra di Conte spesso fatica a imporre l’«azione», ma la «reaaccentra,
zione» le riesce spesso. L’Inter ha il contropiede nel Dna. Hakimi sovrasta definitivamente Spinazzola; crescono Barella e Vidal; Brozovic evade da uno stremato Veretout. Il francese, oltre a pressare il croato, deve scivolare in fascia per arginare gli esterni e chiudere ovunque perché, Villar non aiuta, come Cristante, nell’interdizione. È qui che dovrebbe intervenire Fonseca per soccorrere la fatica dei suoi. Invece lascia che la mediana si sbricioli, inserisce Cristante solo al 34’, lascia che la Roma imploda e riviva l’incubo di Bergamo: dal vantaggio alle pallate. Lopez miracoloso su Lautaro, che subisce pure fallo da rigore. Poi l’Inter segna due gol, con Skriniar e Hakimi (stupendo), sbaglia incredibilmente il terzo con Vidal, potrebbe dilagare come l’Atalanta, ma qui Conte viene in soccorso di Fonseca e la partita svolta di nuovo. A Bergamo, Gasperini, sul 2-1, tolse una punta (Zapata) e ne mise un’altra (Muriel) che segnò subito il 3-1. Conte invece toglie prima Hakimi, poi Lautaro che, giustamente sorpreso, chiede: «Io?» L’Inter perde così le migliori gambe per ripartire e alleggerire la pressione e un atanche taccante capace di congelare la palla lontano dalla porta. Erano stanchi? Ragazzi di 22 e 23 anni... Il precedente di Inter-Napoli non ha insegnato nulla. Anche allora Conte tolse Lautaro per Perisic e il Napoli, attirato in area, anche se in dieci, chiuse assediando. Contro lo Spezia, qualcosa di analogo. Morale: la Roma ringrazia, avanza e fa 2-2 al 41’ con Mancini.
Il bosco Juve
Torniamo al bosco d’iniziazione. La Roma può dire: «Stavolta non siamo crollati come a Bergamo e Napoli, stavolta abbiamo reagito». In realtà, il crollo c’è stato. Alle prime difficoltà, a inizio ripresa, la squadra è sparita e solo la generosità di Conte
le ha permesso di rientrare in partita. Non è ancora adulta, ha fallito l’aggancio. Nel campionato scorso, su 8 incroci con le squadre poi arrivate in Champions, la Roma ne vinse uno solo, all’ultima giornata, contro una tenera Juve che aveva già festeggiato il titolo. Quest’anno non ne ha ancora vinto uno. Ha qualità, entusiasmo, piedi buoni, ma deve crescere in personalità, dimostrare qualcosa di più per entrare nel grande giro. Essere prima in classifica nei primi tempi non basta. Così come non basta all’Inter imporre la propria fisicità, la propria LuLa, anche ieri straripante. Non basta dimostrarsi più forte in una finestra della partita. Deve imparare a spalmare il dominio
su tutta la pelle della partita. Sullo stesso campo, in ottobre, l’Inter aveva dominato a lungo la Lazio, per poi concederle un punto e rischiare di perdere. Come ieri. Le manca continuità e cattiveria di potere. Troppo ha già sprecato in questo campionato. Ha messo più volte la freccia e ora il Milan ha allungato a +3. E, alla prossima, sarà la Juve a giocare con appetito da sorpasso, perché è risalita a -4 e sa di poterne intascare altri 3 nel recupero col Napoli. Ecco, a questo punto, per Conte, InterJuve diventa un bosco con un’uscita sola: vincere.