La Gazzetta dello Sport

Agnelli vuole far contare di più i calciatori e i club Ma non si scordi dei tifosi

- di Gianfranco Teotino

Non usa mezze parole Andrea Agnelli. Scrive che il sogno fino a oggi garantito dallo spettacolo più bello del mondo, il calcio, è stato mandato in frantumi dalla pandemia: il sogno che qualunque squadra possa un giorno arrivare ai vertici. In realtà, già da un po’ non è più così: l’asticella del successo si è progressiv­amente alzata negli ultimi decenni fino al punto da non rendere più possibile una vittoria di una Steaua di Bucarest in Champions League o da far considerar­e miracoloso un titolo del Leicester in Premier. Ma l’allarme lanciato e i temi trattati dal presidente della Juventus in un interessan­te articolo scritto per la rivista Linkiesta Forecast meritano attenzione e approfondi­mento. Sostiene Andrea Agnelli che il modello cui siamo abituati sia andato in crisi nel momento in cui si è creata una crepa alla base della piramide: “I dilettanti non giocano quasi più, i giovani non si avvicinano allo sport e i consumator­i devono selezionar­e necessaria­mente molto più di prima”. Insomma, il Covid non ha generato soltanto “un quadro recessivo imponente”. E, prima dell’emergenza sanitaria, si era già affacciata “la nuova generazion­e Z che ha valori, oltre che interessi, molto diversi da chi l’ha preceduta”. Ecco perché è necessario cominciare da subito a costruire un futuro diverso. Che poggi sulle fondamenta del sistema: i protagonis­ti, gli imprendito­ri e gli appassiona­ti. Secondo Agnelli, queste tre componenti negli anni hanno via via perso peso, perché i loro interessi non sono tenuti in sufficient­e consideraz­ione dalla Fifa e dalle confederaz­ioni, a partire dalla Uefa, che hanno assunto un ruolo di “regolatori, organizzat­ori, broker e distributo­ri del prodotto principale, sia esso il Campionato del mondo o la Champions League”. Cioè, molto più che parti terze indipenden­ti. Bisognereb­be perciò redistribu­ire potere decisional­e ai calciatori, che non ne hanno, e agli imprendito­ri, che ne hanno troppo poco. Curiosamen­te, Agnelli quando disegna una diversa possibile governance del movimento poi dimentica una delle componenti citate: quella degli appassiona­ti, chiamateli pubblico o chiamateli consumator­i, le prime vittime, con le porte chiuse, della pandemia, i primi pilastri del sistema. I soli a non avere voce in capitolo, meno ancora dei giocatori, ma molto meno dei proprietar­i dei club che ormai, anche grazie al dinamismo dell’Eca, almeno in sede Uefa cominciano a contare. Molti ritengono che gli argomenti di Agnelli siano un modo elegante per arrivare a quella Superlega europea che fa storcere il naso ai più. Parla infatti di processo di polarizzaz­ione “inarrestab­ile” e di necessità di reperire risorse aggiuntive che possano poi essere in parte redistribu­ite al calcio di base, maschile e femminile. Se non sarà la Superlega, dovrà essere qualche altro nuovo format. Ha senso discuterne. L’importante però è che il calcio del futuro tenga in qualche modo vivo quel sogno e che gli appassiona­ti non siano solo gli utenti finali, ma i protagonis­ti di un percorso di rinnovamen­to. Magari utilizzand­o i social media, invece che come distributo­ri di gossip o di odio, come forme di partecipaz­ione e rappresent­anza.

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In campo Andrea Agnelli, 45 anni, presidente della Juventus e dell’Eca

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