La resurrezione di Pesaro «Una gioia attesa 9 anni»
Vuelle alle finali di Coppa Italia: l’ultima volta nel 2012 Costa: «Grazie a Repesa». Filloy: «Un gruppo unito»
Senza lo sponsor e un grande tecnico non saremmo arrivati fino a qui
Pesaro è tornata. Il sesto posto al giro di boa rende orgogliosi, si era persa l’abitudine a divertirsi. Per trovare una partenza tanto fulminea, bisogna andare indietro al 2009. Ma la Carpegna Prosciutto non raggiungeva le Final Eight di Coppa Italia da nove anni: era il 2012 e si fermò in semifinale per mano di Cantù. Due i successi nella manifestazione (1985 e 1992), 4 le finali (1986, 1987, 2001, 2004) ed è ora di rinverdire i ricordi. Il presidente Ario Costa, con il dirigente Walter Magnifico, era in campo quando si sollevarono i due trofei. «Siamo molto soddisfatti di quanto fatto nell’andata. I risultati ci hanno permesso di conquistare le Final Eight, traguardo al quale, durante la mia gestione, non siamo neanche andati vicino. I ringraziamenti vanno principalmente a Carpegna Prosciutto che ci permette di essere qui a gustarci questo momento, quindi al gruppo squadra a cominciare dal nostro grande allenatore», ha dichiarato, raggiante, il numero uno biancorosso. Una storia gloriosa, un ritorno al futuro.
Per i tifosi
«Dal primo giorno del raduno le finali erano un sogno, che domenica è diventato realtà – ha detto coach Jasmin Repesa -. L’obiettivo è la salvezza, ma ci sono altri sogni che faremo di tutto per raggiungere. La dedica è per i tifosi, che hanno sofferto nel non poterci stare vicino». Come il tecnico, anche Ariel Filloy, migliore in campo con Marko Filipovity domenica nel successo con Brescia, ama camminare sulla spiaggia di Pesaro. «Non so se sia stata la mia miglior partita, non tutto dipende da quanto segni. Avevo bisogno che il tiro entrasse, di riprendere fiducia. Visto quello che avevamo fatto fin lì, sarebbe stato un peccato non centrare le Final Eight», e lo dice uno che l’anno scorso la Coppa Italia l’ha vinta, con Venezia, proprio a Pesaro. Ariel di Coppa, insomma. «Le finali sono sempre diverse, le gare secche eccitanti». L’incrocio è con Sassari, prossima avversaria anche in Serie A.
Ariel e famiglia
«L’abbiamo battuta una volta in Supercoppa ma ci abbiamo perso due volte, domenica faremo le prove generali. In Coppa Italia bisogna arrivare carichi, giocare il meglio possibile. Loro sono terzi, stanno facendo benissimo, ma tutte le gare sono difficili. Sono stato a Sassari quando sono arrivato in Italia a fine anni 90: due stagioni tra giovanili e C2. Sono legato alla Sardegna, abitavamo insieme con tutta la famiglia: genitori e quattro figli». Papà German vestì la canotta della Nazionale argentina («È il mio mito, poi viene Michael Jordan», assicura Ariel), Demian, Pablo e Juan sono stati a loro volta giocatori di basket. «Sono il più piccolo, a 15 anni seguii i fratelli maggiori in Italia. Pablo oggi è il mio procuratore, Demian comincia a lavorare ora come agente. È il compagno più forte con cui abbia giocato. Mi ha insegnato tanto, ho sempre guardato come si muoveva e leggeva le situazioni». A Pesaro è più facile con un argentino in squadra? «Delfino l’ho conosciuto qui. Più che la nazionalità, aiuta avere intorno brave persone. Siamo un gruppo che va d’accordo, tutti vogliono il bene comune. Per me non parlerei di anno del riscatto, la passata stagione non giocavo tanto ma ero in una grande squadra. Ora ho un ruolo diverso, ho più minuti e responsabilità e per ora sta andando bene. Sarebbe bellissimo raggiungere i playoff», termina l’esterno italo argentino, tanto silenzioso e tranquillo fuori dal parquet quanto mortifero e navigato sul rettangolo di gioco.