La Gazzetta dello Sport

Cosa cambia nel calcio se le luci di Milano accendono l’inverno

- di Alessandro de Calò

Questo, per Milan e Inter, è davvero l’inverno dello scontento che può trasformar­si in una luminosa estate. Difficile che una delle due squadre non viri la boa del girone d’andata davanti a tutti, mettendosi in tasca il titolo di campione d’inverno.

Potrebbero anche farlo a braccetto, c’è qualche precedente. Il riconoscim­ento è simbolico, ma ha una certa rilevanza sul piano statistico. Due volte su tre, nella storia della Serie A, chi è davanti a gennaio alla fine vince lo scudetto. Per la Milano del calcio si tratta di un traguardo importante, quasi epocale. Sta per chiudersi un decennio triste, doloroso e buio per i tifosi rossoneri e nerazzurri, costretti a misurarsi con l’impotenza dei loro club e a guardare dal basso verso l’alto una classifica quasi sempre dominata dalla Juve e illuminata dai coriandoli di buon gioco di altre squadre – tipo Roma, Napoli, Lazio, Atalanta –, non certo dalle loro. Il Milan non è campione d’inverno dal 2011, quando in campo c’era un Ibra quasi trentenne e in panchina Max Allegri che preferiva Van Bommel al genio di Pirlo. Curioso: i rossoneri erano arrivati al giro di boa per primi con una giornata d’anticipo, dopo aver battuto fuori casa il Cagliari nella penultima di andata. Lunedì il calendario presenta una situazione pronta per la fotocopia, col Milan impegnato nel posticipo alla Sardegna Arena. L’Inter non arriva prima d’inverno dalla stagione precedente, quella del glorioso Triplete di Mou con l’ultima Champions conquistat­a da una squadra italiana. In entrambi i casi, per le milanesi, i traguardi invernali si erano trasformat­o in altrettant­i scudetti. Restano gli ultimi della loro serie. Il mondo era molto diverso dieci anni fa. Donald Trump era soltanto un businessma­n. C’era un papa tedesco, Benedetto XVI, alle prese con le prime inchieste sulla pedofilia. In Italia il proprietar­io del Milan, Silvio Berlusconi, era anche a capo del governo. Il calcio milanese era sprofondat­o prima piano poi di colpo, lasciando campo alle conquiste e ai soldi degli altri. Quando Moratti e Berlusconi hanno fatto un passo indietro, cedendo i club a investitor­i stranieri, si è capito che stava per chiudersi un’epoca e il passaggio verso il mondo nuovo era tremendame­nte complicato. Il lungo inverno buio delle milanesi è stato un costo per tutto il calcio italiano. L’abbiamo pagato in termini di competitiv­ità nella Champions e credo anche con la Nazionale rimasta esclusa dal Mondiale 2018 in Russia. La vecchia città della ricostruzi­one industrial­e, un modello europeo nel lavoro e nel peso del denaro, capitale dell’editoria, del design, della moda ha segnato ancora una

volta la nuova tendenza. Il nostro calcio ha smesso di essere il salotto buono della finanza italiana. C’è una parte che resiste, ma il giro d’affari è talmente cresciuto che ha dovuto per forza aprire alle proprietà straniere: sono arrivati i Thohir, i cinesi, i fondi di investimen­to. L’Inter sembrava essere più solida, e più avanti, nella ricostruzi­one verso il grande rilancio. Meno di un anno fa eravamo qui a chiedere chiariment­i e programmi seri sul futuro del Milan. In pochi mesi è cambiato tutto, come se il ritorno di Ibra avesse riacceso una memoria che sembrava scomparsa, inghiottit­a dal sistema. C’è molto da consolidar­e, il Covid è una sciagura anche economica, basta vedere quello che viene a galla in casa nerazzurra. Eppure le basi ci sono. Resta accesa la luce di quello che si vede in campo con Milan e Inter. Penso sia la vera traccia da seguire in questo inverno che sogna l’estate.

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Simboli Zlatan Ibrahimovi­c, guida del Milan, e lo stemma dell’Inter
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