L’irresistibile Barella è il simbolo nerazzurro dell’anima italiana
Prima di tutto auguri al tri-papà Nicolò Barella che ieri mattina, insieme con la moglie Federica, ha festeggiato l’arrivo di Matilde, dopo Rebecca e Lavinia. E poi, naturalmente, complimenti per la sua ultima partita, con l’assist per l’1-0 di Vidal e lo spettacolare gol del 2-0 contro la Juventus. Il padre e il giocatore vanno di fretta, ma non bisogna stupirsi perché Barella ha il temperamento dei sardi, che lavorano in silenzio e preferiscono i fatti alle parole, non a caso cresciuto a Cagliari nella scuola calcio di Gigi Riva, il primo a credere nelle sue qualità. Il classico predestinato, quindi, nato il 7 febbraio come altri due grandi interisti diventati campioni d’Italia: Mauro Bellugi e Beppe Baresi. Il tempo dirà se, e quando, riuscirà a vincere uno scudetto come loro, ma intanto ha già detto che Barella è un punto fermo per il presente e soprattutto per il futuro, anche per la Nazionale, visto che fra tre domeniche compirà soltanto 24 anni. E così, alla sua seconda stagione nerazzurra, spesso migliore in campo come contro la Juventus (voto 8 nelle pagelle di Sebastiano Vernazza), Conte non ripeterebbe più la frase di un anno fa dopo la sconfitta a
Dortmund: «Non posso chiedere l’esperienza a Barella che non ha mai giocato in Champions». Nel frattempo l’Inter è uscita ancora peggio dall’Europa, ma nella partita più importante del campionato Barella ha dimostrato che l’Inter può vincere anche senza i gol di Lukaku. E così non ci sono più dubbi sul fatto che sia lui il simbolo dell’anima italiana dell’Inter, completata dalla maturazione di Alessandro Bastoni, ancora più giovane con i suoi prossimi 22 anni da compiere il 13 aprile, che lo ha smarcato con il lancio del raddoppio, provato più volte in allenamento come ha spiegato il difensore. Barella, Bastoni, ma anche Darmian e Gagliardini entrati dopo il 2-0, senza dimenticare il preziosissimo jolly D’Ambrosio assente per infortunio, e chi è rimasto in panchina: il regista Sensi destinato a ritrovare un posto da titolare come all’inizio della stagione scorsa, il ventunenne attaccante Pinamonti e infine Ranocchia, che compirà 33 anni pochi giorni dopo Barella, autentico capitano non giocatore, esempio da applausi per serietà e attaccamento alla maglia, non a caso il primo a scattare in campo alla fine per abbracciare tutti i suoi compagni, come se avesse giocato con loro. Perché gli stranieri sono importanti, anche a livello societario dopo l’ultima presidenza vincente di Massimo Moratti, ma l’anima italiana dei giocatori non va sottovalutata, come ricorda la storia nerazzurra. L’Inter del “triplete”, infatti, con il record di undici stranieri in campo e Mourinho alla guida, fece festa a Madrid con le urla dell’unico italiano entrato dalla panchina, pazzo di gioia più di tutti gli altri. Era il campione del mondo Marco Materazzi e il suo numero di maglia era il 23. Come Barella.