La Gazzetta dello Sport

Epopea Maestri Addio al ragno delle Dolomiti

La leggenda è morta a 91 anni: rivoluzion­ò il modo di arrampicar­e. Ma Maestri è famoso anche per le polemiche su una ascesa dubbia e su una clamorosa esclusione. Messner: «Era uno dei miei idoli assieme a Walter Bonatti»

- di Mattei

La giovinezza In montagna era salito già a 14 anni, unendosi ai partigiani

Gli ultimi anni Da guida alpina era contento di accompagna­re ancora i turisti

Cesare Maestri, classe 1929, è morto ieri intorno alle 13 nell’ospedale di Thiene. La notizia, come esigono i tempi (anche per un uomo d’altri tempi), è arrivata via Facebook: «Questa volta Cesare ha firmato il libro di vetta della scalata sulla sua vita», ha scritto il figlio Gianluigi. «Un abbraccio forte a chi gli ha voluto bene». Una polmonite la causa del decesso, ma non dovuta al Covid.

Libertà

Uno dei più grandi alpinisti tra gli anni 50 e 60, Cesare Maestri, nato a Trento, era il cittadino più illustre di Madonna di Campiglio, dove viveva da 40 anni. Ancora negli ultimi tempi passeggiav­a al cospetto delle sue amate Dolomiti di Brenta aiutandosi con un girello, ma sempre lucido e fermo. Abituato a procedere in direzione ostinata e contraria, Maestri era prima di tutto un uomo libero. «Ho cominciato ad arrampicar­e perché il vuoto mi dava una sensazione di libertà», ricordava il giorno del 90° compleanno. Ma in montagna era salito la prima volta a 14 anni, quando decise di unirsi alle truppe partigiane. Il padre Toni, attore girovago, condannato a morte dai tedeschi, dopo l’8 settembre lo portò con sé in una fuga spericolat­a, al termine della quale Cesare, ancora ragazzino, non ebbe dubbi da che parte stare.

Innovatore

L’ebbrezza del vuoto la sperimentò soprattutt­o sulle montagne di casa: fu un innovatore in campo alpinistic­o, tra i primi ad affrontare pareti di sesto grado, il massimo per l’epoca, arrampican­do il più delle volte in solitaria, spesso anche in discesa. Tra il ‘51 e il ‘53 compì imprese destinate a restare nella storia: la via Detassis-Giordani del Croz dell’Altissimo in solitaria a soli 22 anni, la Comici al Sassolungo, la Solleder sul Civetta... «Mai avuto paura di morire, perché sapevo di essere bravo». Diventò guida alpina, si guadagnò il soprannome di «Ragno delle Dolomiti». Per questo nel ‘54 considerò un torto inaccettab­ile l’esclusione dalla spedizione al K2. La versione ufficiale parla di un’ulcera allo stomaco, poi rivelatasi inesistent­e: «La verità è che io ero di sinistra; Ardito Desio, il capospediz­ione, un po’ fascista».

Sul Cerro Torre

Vero e falso fanno la storia dell’alpinismo, e la vita di Maestri ne è forse il manifesto ideale. In cerca di riscatto dopo la delusione del K2, o sempliceme­nte a caccia di nuove sfide, Maestri trovò in Patagonia la frontiera delle sue rinnovate ambizioni. Nel ‘59 con Toni Egger attaccò la parete dell’inviolato Cerro Torre sfruttando una finestra di bel tempo che si chiuse troppo in fretta. I due restarono bloccati nella bufera per giorni, invisibili a Cesare Fava che li aspettava alla base. Ricomparir­à solo Maestri, con una storia di morte e di conquista da raccontare: la vetta raggiunta e la scomparsa del compagno travolto dal ghiaccio. Un’impresa su cui sono stati scritti fiumi d’inchiostro e girati documentar­i, un successo sempre rivendicat­o da Maestri, ma poi messo in dubbio dal mondo alpinistic­o anche per la mancanza di prove. «Io ho ripetuto quella via - racconta oggi, alla Gazzetta, Matteo della Bordella, presidente dei Ragni di Lecco -. Nel primo tratto ho ancora trovato i chiodi di Maestri. Poi sono rimasto a bocca aperta di fronte a quelle pendenze: mi sembra allucinant­e pensare di salire lassù con i mezzi del ‘59, ancora oggi ti si stringe lo stomaco solo a guardare la parete». Reinhold Messner è uno di quelli che negli anni passati ha messo in dubbio l’impresa di Maestri, che oggi però ricorda con affetto: «Cesare, assieme a Walter Bonatti ed Hermann Buhl, era uno dei miei idoli. Ricordo che andai a comprare il suo libro “Arrampicar­e è il mio mestiere” appena uscito, nel 1961. Un bellissimo titolo, perché era il mio sogno. E Cesare Maestri ha avuto un grande ruolo, specialmen­te nell’arrampicat­a su roccia nelle Dolomiti. Era famoso anche per arrampicar­e in discesa, scendeva per vie difficili senza corda, senza niente».

Partigiano

Le polemiche sul Cerro Torre hanno inseguito Maestri tutta la vita. «Ma non voglio più parlarne - disse un anno fa - perché è una montagna per la quale ho sofferto tanto». Nel ‘70 tornò in Patagonia tentando l’inviolato spigolo sud-est. Portò con sé un compressor­e per conficcare nella roccia centinaia di chiodi a espansione. Subito sotto la vetta si fermò, assicurò il compressor­e alla parete (è ancora lì

appeso), e tornò indietro senza scalare il sommitale fungo di ghiaccio perché «non fa veramente parte della montagna, prima o poi cadrà». «Non mi interessa dire se la vetta nel ‘59 fu raggiunta o meno», chiosa Della Bordella. «Quello che è importante è l’eredità che ci lascia Maestri: la testimonia­nza di un uomo coraggioso, controcorr­ente, determinat­o nelle sue idee, non solo alpinistic­he». Partigiano, scrittore, sempre impegnato nelle tematiche ambientali e nel turismo sostenibil­e, a 73 anni provò un’avventura

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