SCHWAZER «In un parcheggio tra buche e ghiaccio sogno ancora Tokyo»
Siamo andati a trovare il marciatore squalificato per doping «L’atletica mi faceva schifo. Adesso è come se avessi 30 anni, non 36 Per ora me la cavo dando una mano a una trentina di non tesserati»
on è vero che il tempo scorre sempre allo stesso modo: ci sono minuti che paiono eterni. A noi è accaduto mentre stavamo al passo di Alex Schwazer, durante una seduta di allenamento da lui considerata “facile”. Nulla di preparato, idea figlia della causalità. «Un’intervista a casa? Ok, ma vediamoci prima a Vipiteno: ho le ripetute sui 100 metri». Le montagne intorno sono cariche di neve, il sole rende il freddo sopportabile. La medaglia d’oro di Pechino 2008 scende dall’utilitaria nera. Saluti rapidi, poi indossa cardiofrequenzimetro, guanti e cappello. «Inizio…», dice. Restiamo smarriti. «Qui?», chiediamo. «Sì, perché?», risponde. Beh, posto quantomeno insolito. Siamo in un parcheggio di periferia: alle spalle c’è una fabbrica di colori, l’autostrada del Brennero fa da sentinella, sull’asfalto ci sono diverse buche e non manca il ghiaccio. Però con un po’ di fantasia lo spazio prende le sembianze di una pista di atletica, negata a Schwazer fino al giugno 2024 a causa di una discussa squalifica per doping. Ma tutto questo non ha tolto la voglia e il piacere di marciare al “soldato” Alex. Eccolo affrontare un primo rettilineo di 100 metri o poco più. Una curva secca lo rimette sulla corsia parallela: in fondo c’è l’uscita del posteggio, basta piegare a sinistra per chiudere l’improvvisato anello. L’atleta piazza le accelerazioni puntando il bosco e recupera tornando indietro. Una ripetuta via l’altra. Scattiamo le foto, giriamo un video. A furia di vederlo marciare, ci prudono i piedi... Così, appena ci passa vicino, affondiamo la falcata e facciamo partire il cronometro. Corriamo quasi al massimo per non farci staccare. La svolta ci viene in soccorso, si rallenta. Dura poco, troppo poco. Nuovo scatto. I battiti salgono, poi il “riposo”. Ci fermiamo al termine dell’ipotetico secondo giro, guardiamo il crono: sono trascorsi 90 secondi. Nulla, direte. A noi sono parsi infiniti: senza rimorso lasciamo andare Schwazer. Macina ripetute dopo ripetute: oltre 30. Ci mette 18/19” nel 100 veloce (circa 20 km all’ora) e recupera viaggiando sotto i 5’ al chilometro. Della serie, come volare tre gli squarci di un posteggio…
La lunga rincorsa
C’è un senso a tutto questo? C’è qualcosa che spinge Alex a non mollare nonostante il bollo definitivo di una squalifica sportiva? Domande che trovano risposta mentre andiamo a casa sua, a Racines. «Mi sento ancora un atleta: non mi pesa allenarmi 7 giorni su 7. Quello che ha visto lo faccio due volte, poi c’è un lungo di 27 chilometri, mentre nelle altre quattro uscite vario lo sforzo. Certo, sono consapevole di togliere del tempo alla famiglia (moglie e due figli, ndr), non potrà durare in eterno. Perché lo faccio? Non contro qualcuno o per rabbia, sarebbe sbagliato e improduttivo. Qualche volta in carriera mi è capitato di provare sentimenti simili: pensavo di spaccare il mondo e invece ho fatto pena. Dopo la squalifica di Rio 2016 avevo la nausea, mi faceva schifo l’atletica. Poi le cose sono cambiate. Ora sono tranquillo: sto bene di testa, ho un allenatore come Sandro Donati che non solo non mi ha abbandonato nel momento più difficile, ma continua a supportarmi. Insieme possiamo ancora fare grandi risultati... Lo so, hanno fatto di tutto per chiuderci la porta. Ma siamo ancora qui. E ora quella porta potrebbe riaprirsi. Nei prossimi giorni il giudice di Bolzano deciderà sull’inchiesta penale a mio carico. Se sarò scagionato dall’accusa di doping, come ha chiesto il pm, e nelle motivazioni si farà riferimento a una probabile manipolazione delle mie urine, allora qualcosa
Mi sento un atleta, non mi pesa allenarmi 7 giorni su 7 e non lo faccio contro qualcuno o per rabbia ALEX SCHWAZER
dovrà accadere, qualcosa faremo. Sì, l’obiettivo è rimettermi il numero sulla schiena e partecipare all’Olimpiade». Se ci fosse Jovanotti canterebbe “penso positivo/perché son vivo/perché son vivo”. Ma tra Covid e doping proprio non si può. Come colonna sonora molto meglio i Boomdabash: “Quando tutta questa sabbia finirà/il sole esploderà come tutte le stelle… E sconfiggere i mostri/e sussurrarti piano all’orecchio/ per me la speranza c’è ancora/ per me la speranza è questa/don’t worry…”. E qual è la speranza di Alex? «Continuare la battaglia non più da soli. Da soli intendo io, gli avvocati e Sandro.
Se il giudice di Bolzano metterà nero su bianco l’ipotesi manipolazione, sarebbe bello e importante se Fidal e Coni ci aiutassero. La Federazione già si è avvicinata durante il dibattimento. Vogliono capire, approfondire. A Rio potevo andare a medaglia…». Il muro più difficile da superare è quello di Iaaf e Wada. Con ferocia più che sospetta si sono opposti al tentativo di far luce su una vicenda che presenta più buchi neri dello spazio. E dopo aver ostacolato con ogni mezzo le indagini della Procura (per oltre un anno hanno negato le urine di Alex ai magistrati italiani per poi cercare di consegnare al colonnello dei Ris un campione farlocco), si sono costituiti in aula chiedendo la condanna dell’altoatesino. «Mi viene da sorridere – spiega Schwazer – perché quando il pm ha chiesto il mio proscioglimento, si sono affrettati a dichiarare che non gli interessa nulla dell’inchiesta. Che qualunque cosa accada, la situazione non cambia. Ma se mi avessero giudicato colpevole, allora gli sarebbe importato... Non va bene così. Negli ultimi anni grazie alle azioni dei magistrati ordinari sono stati scoperti i più grandi scandali legati al doping. E Iaaf e Wada hanno ringraziato. Se però una sentenza va contro di loro, allora non è rilevante. Strano modo di concepire la giustizia. La loro è più simile a una lotteria. Prendiamo le possibili contaminazioni alimentari: puoi essere assolto, prendere 6 mesi oppure 4 anni, tipo Iannone (il motociclista, ndr). Decidono a loro piacimento. Noi abbiamo fatto ricorso, dimostrando i pregiudizi e mettendo in evidenza le bugie che hanno portato al mio stop. Niente. La difesa di Sun Yang, invece, ottiene l’annullamento della squalifica per due tweet sui cinesi che uccidono i cani del presidente Frattini (arbitro capo al Tas nel procedimento contro il nuotatore, ndr). Quindi, la strada resta lunga. Se fosse una gara di marcia, saremmo ai 20 chilometri, ne mancano altri 30: i più difficili».
Torta e futuro
Con un caffè e una magnifica torta ai mirtilli rossi, sfornata da Katrin, moglie di Alex dal 2019, il futuro può apparire meno incerto. «Spero che questa pandemia allenti la presa: tanta gente è in difficoltà. Io per ora me la cavo: continuo ad allenare una trentina di persone non tesserate. L’Olimpiade? Secondo me si faranno. E sarebbe un segnale di speranza. Ovvio, vorrei esserci. Quando mi alleno non penso a Tokyo, ma i sacrifici non li faccio solo per il piacere di stare in forma. La squalifica mi ha portato in dote un vantaggio: non sono usurato. Nelle gambe mi mancano circa 60 mila chilometri. È come se avessi 30 anni, non i 36 della carta d’identità. Ecco perché non è sbagliato pensare al rientro: con Sandro nulla è impossibile. Se arrivasse la grazia? Mah, non so neppure come si ottiene. Chiaro, mica la rifiuterei: ho già scontato 55 mesi di una squalifica sbagliata, credo che l’inchiesta di Bolzano l’abbia dimostrato. Gira e rigira, la questione è semplice: vorrei tornare a gareggiare, ma sinceramente se le cose non si sbloccassero con la giustizia sportiva non so se avrò la forza per andare avanti fino al giugno 2024. Mai dire mai, però altre tre stagioni così sono davvero tante. Forse troppe…». Zavorra temporale iniqua e impietosa anche per un campione che si allena tra le buche di un parcheggio.