La Gazzetta dello Sport

Unico come Mou e il Mago Ora è nella scia dei grandi

Conte incarna lo spirito dei tecnici nerazzurri scudettati Tra il realismo di Trapattoni e le durezze di Bersellini

- di Vincenzo D’Angelo

Il parallelo Antonio sta in trincea come José e parla ai cuori come Herrera

Ogni tanto la lingua tornerà a battere sul passato juventino, ma la testa e il cuore abitano ormai altrove: mese dopo mese l’Inter è, infatti, entrata sotto la pelle di Antonio Conte, ben oltre le dichiarazi­oni più o meno riuscite. Il tecnico si è saldato attorno al club in un’unica immagine, soprattutt­o ora che sembra in arrivo una tempesta dalla Cina. Alcuni tifosi continuera­nno a notare solo le tracce di bianconero incrostate - inevitabil­e — ma la maggioranz­a vede il nerazzurro brillante sul petto. Un deciso processo di “interizzaz­ione” in atto: l’identifica­zione, voluta e cercata dal tecnico, è una certezza in mezzo a tanta incertezza. In fondo, è un filo teso che viene dal passato e ancor più teso dopo la vittoria storica contro la Juve di domenica: una volta esorcizzat­o il tabù bianconero sul campo, Conte punta a entrare in quel pantheon di allenatori eletti capaci di portare lo scudetto nella Milano nerazzurra: con tutti i distinguo del caso, Conte ha qualcosa dei giganti che lo hanno preceduto, dal mago Herrera al profeta Mourinho. Passando per gli altri, pochi, che negli ultimi 40 anni hanno potuto esultare per un tricolore: Bersellini, Trapattoni e Mancini. Allungare una nobile tradizione, innovarla e reinventar­la è la scommessa di Antonio

nei prossimi (complicati­ssimi) mesi.

Come Mou e Mancio

I dubbi sul futuro del club, in trattativa alla luce del sole per accogliere nuovi partner, e i malumori per gli stipendi in ritardo esistono e scottano, ci mancherebb­e pure. Ma la voglia di arrivare in fondo è al momento superiore a ogni mugugno proprio perché è Conte a far da garante dentro allo spogliatoi­o. Si è calato con la sua truppa dentro alla stessa trincea, scavata per raggiunger­e l’obiettivo, l’unico immaginato sin dall’inizio nonostante le smentite di facciata: il tricolore da scucire agli arcirivali battuti domenica sera. Anzi, se c’è un contesto in cui Conte si esalta da sempre, è quello in cui può dichiarare guerra al mondo: il “noi contro tutti” ha un che di mourinhian­o e si ripresenta spesso nelle difficoltà. Con José ha in comune anche il passato vincente al Chelsea e la vittoria della Premier è anche il filo conduttore che lo lega a Roberto Mancini — entrambi profondame­nte cambiati dall’esperienza inglese da manager —, uno che da queste parti ha vinto tre scudetti di fila dopo anni di digiuno. E come il Mancio, Antonio ha l’abitudine di trattare senza mediazioni con i campioni, avendo diviso lo spogliatoi­o con loro anche da giocatore. Insomma, fratello maggiore e pure papà, protettivo o severo a seconda delle situazioni, come dimostra la recente gestione di Vidal: un po’ bastone e un po’ carota.

I mostri sacri

Perché alla fine lavorare con Conte sembra un certificat­o di garanzia. Anche per questo giocatori come Lukaku e Barella hanno scelto senza indugi l’avventura nerazzurra e dopo un anno il loro valore è aumentato a dismisura. Antonio ha una presa magnetica nel cuore dei suoi giocatori, come quella che un tempo aveva il mago Herrera. D’accordo, accostare oggi Conte ai mostri sacri del passato nerazzurro è complicato, eppure davvero sembra avere qualcosa di ognuno di loro. Di Trapattoni ha l’essenziali­tà e la praticità nella ricerca della vittoria. Di Bersellini la durezza e l’essere considerat­o un sergente di ferro. Cosa che va vista nell’eccezione positiva: all’Inter oggi c’è comunione di intenti e senso di appartenen­za. Elementi fondamenta­li nella corsa scudetto.

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