Caso Schwazer Arriva un altro no Addio Olimpiade
Èil momento di investire sui giovani. Di farlo con più coraggio e competenze, spostando soldi e persone capaci di vedere lontano. Servono pazienza, determinazione e tempo per un futuro differente, più compatibile e illuminato. La crisi finanziaria del calcio – e del suo modello organizzativo –, accelerata dalla pandemia, dovrebbe spingere i club italiani ad avere più cura dei settori giovanili. La crisi consiste nel fatto che il vecchio sta morendo e il nuovo non riesce a nascere, come osservava l’indelebile Gramsci in uno dei suoi quaderni. È passato quasi un secolo e il riferimento non era certo rivolto al calcio, ma si incastra perfettamente con quello che adesso sta succedendo. Per investire sui giovani bisognerebbe avere uno sguardo proiettato sul medio/lungo termine, sapere quale tipo di calcio si vuole praticare, avere voglia di valorizzare il senso di appartenenza. Nonostante le ultime crepe della vicenda Donnarumma, il Milan in Italia resta una certezza. Dopo aver vinto la concorrenza interna con Andrea Conti e conquistato la Nazionale, Calabria sembra destinato a diventare il “capitan futuro” dei rossoneri. Gabbia, leader dell’Under 21 azzurra, è pronto a entrare in scena. Daniel Maldini chiede spazio. Pobega rientrerà dallo Spezia. In diverse squadre, ancora oggi, c’è il segno della bontà della scuola di Milanello: penso al Locatelli del Sassuolo e a Pessina dell’Atalanta, a
Petagna del Napoli e a Cristante della Roma, al Darmian campione d’Italia con l’Inter, al De Sciglio del Lione e avanti fino all’Aubameyang stella dell’Arsenal. La diaspora è un po’ sfuggita di mano nella grande giostra degli anni oscuri del club milanista, però resta vivo uno zoccolo duro. E questo zoccolo è sempre stato fondamentale nella storia rossonera, dai tempi di Rocco fino al grande Milan di Sacchi. Molti anni fa, il presidente del Real, Florentino Perez, aveva teorizzato lo sviluppo dei Blancos lungo la direttrice dei “Pavones y Zidanes”. Cosa vuol dire? Significa un mix tra giovani della cantera tipo Pavon – difensore che poi non aveva mantenuto le promesse – e campioni affermati (Zidane). Lo slogan non aveva portato fortuna a Perez, però la ricerca
di un buon punto di equilibrio tra la propria produzione e il mercato credo che possa essere ancora il modo migliore per fare centro. Dipende che cosa si vuole dai giovani. Il Barça dei sei titoli in una stagione con Guardiola, aveva sette giocatori su undici fatti in casa: una situazione irripetibile. Ci sono club che producono e vendono, per autofinanziarsi. I giovani dell’Atalanta vanno a ruba: i Kessie, Bastoni, Gagliardini, Kulusevski, Barrow e Amad Diallo si sono stati piazzati bene. In Europa, il Real ormai è maestro
nell’arte del richiamo. Fa crescere in giro i suoi baby e se ha voglia li riprende. Vedremo come finirà con Hakimi, Theo Hernandez, Brahim Diaz e Mayoral. Il City ha speso 250 milioni di euro per costruire a Manchester la sua accademia. Nel 2009, dopo la posa della prima pietra, Phil Foden veste per la prima volta la maglia celeste. Era un bambino di nove anni, è diventato l’emblema del City. Tra due settimane Foden si giocherà la Champions col Chelsea dei Mount, Abraham e Christensen. Se chi comanda in Europa vince con i giovani della casa, perché non dovremmo provarci anche noi?