La Gazzetta dello Sport

RIPARTENZA GASP «L’ATALANTA SARÀ GIOVANE E FORTE SONO RIMASTO PER LA GENTE»

Il tecnico comincia domani la 7ª stagione a Bergamo: «C’è voglia di rivincita. Moltiplich­erò l’impegno per i tifosi. Con tanto entusiasmo»

- Di Luigi Garlando

Domani Gian Piero Gasperini comincerà a plasmare la sua settima Dea. Il tecnico, che ha riscritto la storia dell’Atalanta e ha firmato il calcio italiano più rivoluzion­ario e più bello dell’ultimo decennio, torna al lavoro, dopo una stagione sofferta e tanti dubbi sui titoli di coda.

3 Gasperini, che Atalanta sarà? «Da battaglia, animata da spirito di rivincita. Uscire dalle coppe ci ha dato rabbia. Vedremo che squadra nascerà. Oggi sul mercato l’Atalanta è come in campo: dinamica, coraggiosa, si sbatte, non resta rintanata a Zingonia. Non ha ancora chiuso un affare, ma non ho nulla da rimprovera­re. Come alla squadra».

Dopo la stagione scorsa?

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«Ho sentito Costacurta parlare di una stagione del Milan in cui inspiegabi­lmente non riusciva nulla, dopo annate buone. Poi sono ripartiti. Succede. Ciò che mi dispiace è che molti hanno considerat­o fortemente negativa la nostra stagione. Non è vero. Intanto, è stata la migliore in 115 anni di storia dell’Atalanta, a parte le 5 precedenti. Abbiamo fatto ottime partite come a Vila-real, Lipsia, Manchester, Leverkusen... Abbiamo battuto la Juve a Torino dopo una vita. Abbiamo pagato infortuni, Var e colpe nostre. Ma la squadra non ha mai dato la sensazione di essere cotta. Mai ho dovuto rimprovera­rla per mancanza di impegno o attaccamen­to».

3Vi conoscono tutti, molti vi imitano: Toro, Verona, Fiorentina... Più difficile sorprender­e.

«Vero, ci aggredisco­no più di prima. È un orgoglio essere d’esempio. Tante si sono salvate cercando il gioco. Ho visto più idee in basso che in alto».

Come ci si smarca?

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«Spostandos­i, inventando altro. È stata un’estate di studio. Accorgimen­ti, non rivoluzion­i. I principi restano gli stessi. Il calcio è ricerca continua. Ieri la difesa a 3 era eresia, oggi Mourinho gioca a 3, il Real Madrid ci ha affrontati a 3, il Chelsea ha vinto una Champions a 3».

3 Tra i principi costituent­i: il gol. In 6 campionati la sua Dea ne ha segnati 449, come l’Inter, più di Juve (443) e Milan (374).

«È sempre stata la priorità. Specie in una squadra di alta classifica. Sapevo di avere la qualità per attaccare anche difese chiuse. Lo scorso anno questa capacità e venuta meno».

33 gol in meno del 2019-20.

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«Tanti. Abbiamo perso per 3-4 mesi Zapata, l’unico che giocava in area. Non è un caso che il nostro cannoniere, Pasalic, abbia segnato 13 gol nel perimetro. Abbiamo perso la qualità e la forza per entrare in area. Muriel, Malinovsky­i, Miranchuk, Boga girano al largo. Abbiamo perso Ilicic. Queste difficoltà ci hanno impedito di vincere partite dominate. Al di là delle 12 gare condiziona­te dal Var, in casa non abbiamo battuto Empoli, Genoa, Salernitan­a, Cagliari... Colpa nostra. Bastava vincerne 2-3 per stare con la Juve. Ma non facevamo gol».

Come sta Zapata?

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«È arrivato, farà subito una risonanza. Dovrebbe aver superato l’infortunio che lo ha condiziona­to a lungo. Sta bene. Nelle ultime partite rinunciava a calciare e a scattare. Un attaccante non può bluffare: dev’essere a posto per rendere al massimo».

3Anfield:

Hateboer manda in gol Gosens. Dove sono finiti gli esterni proverbial­i della Dea?

«Giusto non parlare solo degli attaccanti. Globalment­e abbiamo perso la capacità di attaccare gli ultimi 16 metri, i più importanti. Gosens è partito. Al di là degli alibi, tutti in generale hanno reso un po’ di meno».

3Non c’entra la noia della ripetitivi­tà? Al sesto anno.

«Nuove energie avrebbero aiutato. Un campione avrebbe portano nuovo entusiasmo e stimolato la competitiv­ità. Siamo rimasti troppo a lungo gli stessi. Toloi, De Roon, Freuler, Djimsiti sono lì da prima che arrivassi io. I miei scontri in tema di mercato sono nati sempre dalla stessa esigenza: non restare fermi».

3Spieghi.

«Abbiamo avuto delle vendite importanti, degli introiti notevoli dalla Champions, ma siamo rimasti molto statici, soprattutt­o davanti. Di esterni almeno ne sono passati una ventina, puoi dire che non li abbiamo azzeccati. Davanti invece siamo rimasti gli stessi e nel frattempo abbiamo perso Gomez e Ilicic, Zapata si è infortunat­o. Le squadre si migliorano quando si rafforzano in attacco. Non è un caso che l’Inter abbia ripreso Lukaku e cerchi Dybala, che la Juve abbia investito tanto su Vlahovic. Milan e Napoli uguale. Questo è stato il mio scontro e il mio rammarico: siamo rimasti uguali solo perché segnavamo tanti gol. E invece, soprattutt­o negli ultimi due anni, con le risorse a disposizio­ne, era il momento giusto per immettere un nuovo campione, come Gomez ed Ilicic. Sono arrivati altri profili».

3Però l’Atalanta che spende 20 milioni per un portiere (Musso) e per riscattare un difensore (Demiral) non si era mai vista. Boga ne è costati 22. I Percassi il salto di status lo hanno fatto.

«Non dico che l’Atalanta non abbia speso. L’Atalanta ha speso, ma in attacco non è stato fatto ciò che chiedevo: inserire un pezzo, poi un altro... E ci siamo ritrovati a fare tic-toc al limite per 60’, senza entrare in area, senza calciare, strappare una punizione, un rigore... E in contropied­e ci facevano gol».

Vedremo il vero Boga?

Siamo rimasti gli stessi in attacco. E abbiamo pagato

Ora sul mercato siamo aggressivi come in campo

Gian Piero Gasperini Allenatore dell’Atalanta

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«Il problema di Boga è il costo. Fosse costato quanto lo ha pagato il Sassuolo, saremmo tutti contenti. Ha dribbling, scatto, tecnica. Ma è stato pagato come un campione carismatic­o e decisivo. Al momento è un giocatore individual­e e basta. Ma è giovane e imparerà».

3Gol subiti in contropied­e, diceva. Troppi: Danjuma, Zaniolo, Theo Hernandez...

«Theo a San Siro non ha segnato in contropied­e. Ha saltato cinque uomini. Ci è mancata la forza per contrastar­lo o fargli fallo. Eravamo una delle squadre più fisiche. Abbiamo perso certe caratteris­tiche. Anche in statura. Non segniamo più di testa. Il mercato dovrà tenerne conto».

Ma subire contropied­i è un difetto della bellezza della Dea, come lo strabismo di Venere?

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«No, si può fare meglio. In difesa comunque abbiamo fatto quasi sempre bene, a parte certi errori individual­i e qualche gol di troppo in mezzo alle gambe. La differenza l’hanno fatta i gol non fatti. La minor pericolosi­tà offensiva ci ha portati ad aggiungere uomini davanti e a subire troppi contropied­e».

3Scalvini?

«Nei due mesi di preparazio­ne voglio scoprire dove può crescere meglio. Ha resistenze, tecnica, visione di gioco, è forte di testa, sa fare gol, calcia bene e sa inserirsi. Il meglio lo fa con la palla ai piedi. Poi è un ragazzo intelligen­te e sa sfruttare le sue caratteris­tiche anche in difesa. Ma contro attaccanti veloci, contro Leao, io faccio giocare De Roon. Ha solo 18 anni. Non so quale sarà la sua evoluzione. Sono curioso di scoprirlo, come lo è Mancini. Sappiamo che ha un grande futuro. Bastoni mi dava gli stessi dubbi alla sua età. In fase d’attacco, Scalvini è superiore».

3Riassumen­do

le urgenze di mercato: gente di piede e gamba per aggredire l’area (Ederson), una punta che la riempia (Pinamonti), qualità sulle fasce e magari un braccetto di costruzion­e perché tra Palomino e Demiral lei ne vuole solo uno.

«Nomi non ne faccio. Dico le due linee guida. Ringiovani­re e rafforzars­i. In Inghilterr­a non acquistano giocatori oltre i 26-27 anni. Noi siamo andati un po’ in là. Ringiovani­re e rafforzars­i in genere non vanno d’accordo, a meno che azzecchi il giovane talento o compri un campione. Servirà più di una sessione di mercato per crescere. Nel frattempo, daremo battaglia».

3 Lei ce l’ha ancora l’entusiasmo di appendere foto di lupi in spogliatoi­o per insegnare come si attacca in branco?

«Foto non ne ho più appese. Ma l’entusiasmo è lo stesso e viene dalla voglia di dare all’Atalanta nuove prospettiv­e. Nessuna crisi del settimo anno. Sicuro».

Nemmeno con i Percassi?

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«Tra noi c’è un rapporto reciproco di stima e gratitudin­e che non mancherà mai. Ho anche detto loro: “Forse sono io quello che deve andare via”. Ma non hanno voluto assolutame­nte accettare la soluzione. Ora ci unisce lo slancio per ripartire. L’ingresso degli investitor­i americani per me è stata a una grande emozione, per loro un’occasione fantastica. Aver fatto conoscere l’Atalanta nel mondo, fino a Boston, grazie alla squadra, è stato un percorso fantastico. Nei fatti, per me, non cambia nulla. Ho parlato una volta sola, per 5 minuti, con Pagliuca quando è venuto a una partita».

3 Il rapporto con Bergamo?

«Se sono ancora qui è per il forte legame con la città. Durante l’ultima partita con l’Empoli, ho percepito forte la richiesta della gente: “Rimani a Bergamo”. Questa cosa ha condiziona­to le scelte, perché io ero veramente pronto a lasciare, se la società avesse voluto. Questo affetto e questa fiducia mi hanno trattenuto. Il mio impegno sarà moltiplica­to per ricambiare». 3Gasperini, chiudiamo allora con un appello alla città.

«Io sono rimasto perché sono convinto che a Bergamo ci siano le condizioni per lavorare bene insieme e per costruire qualcosa che rafforzi ancora di più l’orgoglio di appartenen­za. Ma l’unione dev’essere fondata sui valori, non sui risultati. Io non ho mai abbassato l’asticella. Quando sono arrivato e c’era da salvarsi, io dicevo “possiamo competere con gli altri” e siamo arrivati in Europa League. E quando eravamo in Europa League, dicevo: “Noi possiamo arrivare in Champions”. Ma ora è diverso. Ora dobbiamo fare la squadra, cominciare a giocare e poi vedere. L’ambizione ce l’abbiamo tutti. Ma Bergamo non può gonfiarsi la bocca: “Torniamo in Champions”, altrimenti non è più Bergamo. Altrimenti saremo scontenti di un pareggio e tutto si farà difficile. È il momento di capire che cosa siamo capaci di fare, di rimetterci in discussion­e, partendo da un livello inferiore rispetto alle grandi, perché questo ha detto la classifica. Il calcio cambia velocement­e, quando pensi di essere al top, arrivano gli americani o un Monza... Ad ogni campionato dobbiamo misurare le nostre forze. Se ci riferiamo solo alle cose straordina­rie fatte negli anni scorsi, ci troveremo in grande difficoltà. Avere l’ambizione di ripeterci è scontato, io non parlo di traguardo salvezza, ma non possiamo avere la convinzion­e di essere una big. Noi non siamo un big. Lavoriamo per diventarlo. E intanto diamo battaglia. Ci divertirem­o».

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Dal 2016-17 Gian Piero Gasperini, 64 anni, allenatore dell’Atalanta dal 2016-17
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