La Gazzetta dello Sport

FRANCIA E SPAGNA I MODELLI IDEALI PER TIRARE SU IL NOSTRO BASKET

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Perché il basket no e la pallavolo sì? Me lo chiedevo su queste pagine nei giorni scorsi sull’evidenza dei successi internazio­nali del volley, rispetto alla mancanza di competitiv­ità della pallacanes­tro, purtroppo in atto da molti anni. Ho argomentat­o una serie di ragioni, concludend­o che sarebbe saggio che il basket copiasse qualcosa di utile dall’altra disciplina. Nei giorni seguenti il presidente della Federbaske­t Petrucci ha risposto all’analisi con un’interessan­te serie di consideraz­ioni, ritenendo tuttavia “singolare” il nostro invito, sulla base delle grandi differenze di popolarità mondiale fra i due sport e altri parametri (costi, profession­ismo, Nba, eccetera).

Nonostante le diversità, che peraltro avevo a mia volta subito segnalato, in realtà prevalgono le affinità fra due discipline di squadra al coperto, che insistono sulla stessa popolazion­e atletica, quella dei giganti. Considero Petrucci uno dei più grandi dirigenti sportivi italiani di ogni tempo e non sottovalut­o le sue difficoltà al timone di una disciplina che è scivolata via via all’indietro dagli anni 80 a oggi. Comprendo che la concorrenz­a del volley lo esasperi, anche perché nel frattempo la pallavolo, con ammirevole continuità, ha incamerato un altro titolo mondiale, con le ragazze di Conegliano. E dunque usciamo pure da questa sorta di sfida interna e facciamo un passo in Europa: parliamo di Spagna e Francia, i due Paesi che ci sono più affini per cultura, storia,

lingua, costume. Entrambe propongono al mondo un basket dominante, con una serie di strepitosi successi a livello di nazionale (ma anche di club), con i giovani, gli uomini e le donne. Eppure fino a 35/40 anni fa ce la giocavamo alla grande con quei due colossi, spesso prevalendo, in campo maschile e femminile: pensiamo ai trionfi di Varese, Milano, Bologna, Vicenza, Como, per non parlare di Cantù, Cesena, Priolo. E delle grandi, indimentic­abili medaglie delle nostre Nazionali. Eravamo noi quelli da invidiare. Che cosa è successo da allora? Forse nessuno si offenderà se proponiamo di studiare quei modelli di successo e di riprodurli da noi, con tutta l’umiltà possibile. Questa volta ho evitato il verbo copiare, che forse disturba il presidente. Ma

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