Nato vice, è diventato re Non sottovalutate Olivier, sta per riprendersi il Milan
livier Jonathan Giroud è nato vice. Ultimo di quattro fratelli, vice di Bertrand, Romain e Bérengère. La mamma un giorno gli dice: «Eravamo già in cinque, non ti abbiamo cercato, ma sappi che siamo stati felicissimi di accoglierti». Da “quarto uomo” (battuta sua) diventa subito titolare in famiglia. Il cocco, adorato, super baciato. Olivier ancora sorride: «Ero l’attrazione, sono partito come capello nella minestra e sono diventato la ciliegina sulla torta». Poi nella sua lunga e bella vita di calciatore fa il vice a molta gente. Vice di Karim Benzema, Pallone d’oro. Vice di Zlatan Ibrahimovic, pallone di tanti colori. Vice in situazioni spesso provvisorie, temporanee, in stand by. Ma cose minime, attese non snervanti. Olivier, con il suo grande naso poco francese, annusa, fiuta, parte, si fa largo, arriva sempre dove vuole arrivare: a non fare il vice.
OMarsiglia e Sheva Nasce il 30 settembre 1986, nella clinica Sainte-Marie di Chambéry, e cresce a Froges, paese dell’Isère nella valle di Grésivaudan, a pochi chilometri da Grenoble. Non nasce povero, il padre è un dirigente in un’industria agroalimentare. Olivier nasce calciatore e pensa solo al football. Studia, si diploma al liceo sportivo, ma sogna di entrare nei grandi stadi del mondo. Racconterà nel suo libro “Crederci sempre”: «Sono cresciuto tifando OM, l’Olympique Marsiglia, dove hanno giocato JeanPierre Papin, uno dei miei calciatori preferiti, e Didier Deschamps, mio futuro allenatore, che con l’OM hanno vinto una Champions League. Ammiro anche il brasiliano Ronaldo, che fa sognare tutti i ragazzini della mia età. Non mi stanco mai di rivedere i video di Marco van Basten, ma il mio mito è Andriy Shevchenko, che gioca in un Milan grandissimo. Uno che può segnare come vuole, di destro, di sinistro, di testa: un genio. Mi ispiro molto a lui, tanto che lo imito senza dirlo a nessuno in fase di riscaldamento e nei gesti atletici. Mi sforzo di riprodurre i suoi movimenti e il modo in cui corre, ma la natura riprende subito il sopravvento. Il punto è che io non sono Shevchenko».
Profumo di gol Non è Shevchenko. È un centravanti, un 9, come Shevchenko. Non fa i gol di Shevchenko, ma è un campione d’Italia nel Milan, come Shevchenko. E dopodomani si ripresenta, si rituffa nel suo mondo italiano. Era partito campione del mondo, torna da vice. Ma non è un perdente di successo, non è sempre vero che i secondi sono i primi degli sconfitti. Lo dicevano ad Ancelotti, vecchio cuore rossonero, quando allenava la Juve e quando perdeva, raramente, una delle sue tante Champions. Erano insulse cattiverie, studiate ed elaborate da uomini meschini. Lui, Olivier, è stato molte volte secondo e ha subito nel suo percorso anche attacchi e battutine acide. Non fa gol, è immobile, un “cistone”, un palo della luce a corrente alternata. E cose di questo tipo. Poi è diventato primo, poi ancora secondo. Ma sempre lì, con il suo imperioso nasone e il forte profumo del gol.
Aria di famiglia Era vice anche di Thierry Henry, nella classifica dei gol nella nazionale di
Francia. Adesso è primo da solo con 53 gol in maglia blu. Jean Pierre Papin, un francese che ha giocato nel Milan, gli manda a dire: «Olivier ha perso il Mondiale? Capita, ai rigori possono perdere tutti. Olivier stavolta ha segnato, ma non ha vinto. Succede. Un Mondiale non è poi la fine del mondo. La vita continua e lui continuerà a vincere con il Milan. Lui parla bene di me e io parlo bene di lui. L’ho già detto: il Milan è un gruppo ricco di conoscenze, qualità e cultura calcistica. Olivier si conferma sempre e fa e farà sempre bene». JPP lo aveva paragonato a Ibra perché «quando arrivano le partite decisive non si tira mai indietro e le decide. Proprio come Ibrahimovic». Olivier non parla come Ibra, ma forse piace anche perché è di poche e delicate parole. Amore, cuore, maglia, mano sul petto. Piace al popolo rossonero, e non solo, perché è un professionista, si emoziona, sgrana i suoi occhioni azzurri, si sforza con l’italiano. Lo impara presto, quasi come Boban, che è arrivato al Milan “già imparato”. Si arrabbia il giusto, crede nella vita, nella fede, negli affetti, nella sua bella e numerosa famiglia, Jennifer e i bambini Jade, Evan, Aaron e Aria. Milanello è la sua seconda casa, San Siro un buon posto sempre bene illuminato. Anche di giorno, anche quando c’è la nebbia. Perché Milano è Milano. Speciale.
Inizia per R
Piace anche a Marco Simone, italiano, milanista, che ha giocato in Francia, al Psg, al Monaco, al Nizza, e conosce storie e momenti del calcio di Giroud. «È bello vederlo giocare, muoversi, seguirlo negli spostamenti. Mi sono un po’ emozionato quando hanno detto che segna come me. Vabbè, sono paragoni. Ma sono belli. A questo punto sono autorizzato a dire che io segnavo come Olivier. Bene, bene. Segnerà ancora. Adesso torna, riprende e dimentica subito l’amarezza della finale contro l’Argentina». Olivier Giroud torna con la sua simpatica “erre” francese. Che poi è, suppergiù, come quella di Stefano Pioli. “Erre”, come ritorno, ripartenza e, chissà, rimonta.
Studiava Van Basten, copiava Shevchenko, era pazzo di Papin Ora è l’erede di tutti
Parla e discute poco ma fa impazzire i tifosi Le chance di rimonta cominciano dal 9