La sfida più tricolore
Monza-Lazio con 15 italiani in campo E la scelta le premia
I risultati A metà classifica i brianzoli, secondi i biancocelesti E gli stranieri? Pochi ma determinanti
Palladino ne schiera otto, Sarri sette. Il nucleo “azzurro” aiuta il tecnico a costruire la squadra
Quindici, forse sedici giocatori italiani in campo sui ventidue totali. Un tempo, nella Serie A dei tre stranieri per squadra, sarebbe stata la normalità. Oggi è un’eccezione che si fa fatica a credere sia possibile. E invece sarà realtà domenica all’U-Power stadium di Monza. La squadra di casa scenderà in campo (come quasi sempre) con otto italiani su undici giocatori. Di fronte ci sarà una Lazio che risponderà con sette (ma potrebbero essere otto) calciatori del nostro Paese. Un caso? No, tutto il contrario. Perché la decisione di «nazionalizzare» le rispettive formazioni è stata una precisa scelta fatta a monte. Dalla società, a Monza. Dal tecnico (ma il club ha immediatamente e incondizionatamente sposato la svolta) alla Lazio. Medesime decisioni e identica filosofia alla base delle scelte parallele. In estrema sintesi questa: con una squadra fatta prevalentemente da italiani si lavora meglio ed è più semplice far assimilare certi concetti. Che poi i due presidenti (Silvio Berlusconi come leader assoluto, Claudio Lotito come fresco senatore) siano esponenti di un partito che si chiama Forza Italia è il logico corollario.
Rivelazioni «azzurre» Non si tratta ovviamente di una crociata contro gli stranieri. Che infatti tanto nel Monza quanto nella Lazio sono presenti. E, anzi, specie per la squadra di Sarri, costituiscono il valore aggiunto (vedi, soprattutto, i vari Milinkovic, Luis Alberto e Felipe Anderson). Ma un nucleo italiano rende il lavoro di un allenatore più semplice. E consente pure un ambientamento più facile a chi arriva dall’estero. E infatti non è un caso che la scelta di Monza e Lazio stia pagando. Entrambe, relativamente agli obiettivi di partenza, sono delle rivelazioni del campionato. La formazione brianzola, matricola assoluta in Serie A, è vicinissima al traguardo salvezza, ma sta in realtà facendo molto di più, al punto che si trova a metà classifica può realisticamente sperare di concorrere per un piazzamento che consenta di andare in Europa. La Lazio è seconda in classifica, con la possibilità concreta di centrare la tanto agognata qualificazione in Champions League.
Allievo contro maestro I più contenti della svolta autarchica delle rispettive squadre sono ovviamente i due allenatori, Raffaele Palladino e Maurizio Sarri. Due tecnici che lavorano tantissimo sui giocatori e per questo sono agevolati, nel loro compito, dal potersi rivolgere ad una «platea» che parli la stessa lingua (anche giocatori stranieri, ma che siano già da tempo nel nostro campionato). Due allenatori, tra l’altro, il cui calcio ha molti punti in contatto. Non a caso nei mesi scorsi Sarri ha indicato in Palladino il tecnico più interessante tra quelli emergenti. E lo ha fatto quando l’allenatore campano si era accomodato da poco sulla panchina del Monza. Non adesso che il valore di Palladino è sotto gli occhi di tutti. Nel match di andata a Roma l’allievo fece penare parecchio il maestro, che la spuntò di misura e solo nel finale grazie a un gol di Romero. Domenica la rivincita. Che Palladino affronterà con otto italiani su undici (Pablo Mari, Machin e Carlos Augusto le eccezioni), mentre Sarri ne manderà in campo almeno sette, con un ottavo (Luca Pellegrini) pronto pure lui a giocare nel caso in cui Hysaj (acciaccato) non dovesse farcela. E per l’anno prossimo entrambi stanno già chiedendo ai propri dirigenti di continuare a privilegiare il made in Italy quando si tratterà di fare mercato.