«Ora vinco col Siviglia Ma il flop in giallorosso fu colpa mia al 95% »
«Non ci sono più tornato a Roma. E la città mi manca tanto». Ramon Rodriguez Verdejo – al secolo calcistico Monchi – parla del futuro che incombe con accenni di nostalgia racchiusi tutti in queste parole. La storia è nota. Dall’aprile 2017 al marzo 2019 è stato direttore sportivo della Roma. Prima esaltato e poi vilipeso. Negli anni precedenti e in quelli successivi il Siviglia è stato tutta la sua vita, giocando 19 finali e vincendo 10 trofei. E la prossima sfida, mercoledì, sarà proprio col suo passato.
► Annata strana la vostra.
«Sì, abbiamo sofferto tantissimo in campionato e arrivare a una finale di Europa League nessuno pensava che potesse succedere. E se mi avessero chiesto contro chi avrei voluto giocarla, avrei detto: la Roma».
► Lei a Roma ha diviso il tifo: che cosa non rifarebbe.
«Ho ripensato tanto a ciò che è successo. Ho provato a fare del mio meglio, ma ho sbagliato. Se tornassi indietro, cambierei qualcosa, perché conosco molto meglio la Roma rispetto a quando sono arrivato. Mi è mancato tempo per essere quello che sono a Siviglia. Ma non è colpa di nessuno. Anzi, al 95% è colpa mia».
► Pallotta l’ha criticata molto.
«Ognuno è libero di dire quello che crede. A Pallotta sono grato perché mi ha portato alla Roma, non dirò mai una parola contro di lui. Il mio percorso nel calcio è di 37 anni, ognuno può pensare ciò che vuole. Quella di mercoledì e la mia 19a finale. Non so se sono tanti i direttori sportivi che possono dire questo senza lavorare nel Real Madrid, nel City o nel Chelsea».
► Il problema è stato sull’esonero di Di Francesco?
«Non solo quello. Il rapporto con la società non era più buono, quindi era meglio far lavorare altri. Trovare un allenatore non è difficile, il problema è che io pensavo in quel momento che Eusebio fosse il tecnico giusto per dare continuità. Forse era sbagliato, forse no, ma per me era giusto. Nessuno ha ragione al 100%».
► Perché prendere Pastore?
«Non parlo dei singoli, ma è difficile non sbagliare mai».
► Quale sarà la chiave della finale: il Siviglia che fa possesso palla e la Roma che riparte?
«Se guardiamo le altre partite sembra così, ma noi non siamo una squadra che fa tanto possesso. Ci rispettiamo. Sarà importante non fare errori».
► Dybala è in dubbio: preferirebbe averlo in campo al 20%, senza ritmo, o non averlo?
«Lui ha giocato spesso così, e il suo 20% è il 60-70% di un altro giocatore».
► Quali sono i vostri ricavi e il vostro monte ingaggi.
«Circa 200 milioni e 150 milioni»
► Qual è il segreto del Siviglia?
«Qui diciamo che nessuno vuole la Coppa come noi. Ma fino a tre mesi fa tanti chiedevano di lasciare perdere la Coppa perché potevamo andare in serie B. Non lo abbiamo dimenticato e abbiamo lottato lo stesso per andare il più lontano possibile. Per noi è una manifestazione speciale, perciò l’abbiamo vinta 6 volte».
► Il calcio italiano ha tre finaliste in Coppa: è rinascimento?
«I numeri dicono di sì. Segno che state facendo bene e dovete parlare con orgoglio del vostro lavoro. Ora tutti dicono che vincerà il City, ma sbaglierebbero quelli che pensassero che l’Inter non giocherà la sua partita. Lo farà e ha calciatori con esperienza che possono fare cose importanti».
► Il Napoli sembra incerto fra due allenatori spagnoli. Chi assomiglia più a Spalletti fra Benitez e Luis Enrique?
«Rafa conosce l’ambiente, ma sono diversi. Chi è più vicino a Luciano è Luis Enrique. Per me il Napoli non è stata una sorpresa. Spalletti è stato l’allenatore più forte che ho conosciuto. Avrei voluto che rimasse alla Roma, ma aveva deciso di andare via».
► Le piacerebbe ancora andare a lavorare altrove?
«Ora ho la testa qui, ma è vero che qualcosa rimane dentro di me che mi può spingere, un giorno ad andare un’altra volta fuori e fare quello che ho fatto a Siviglia. Ma non so se lo farò mai. Sono un po’ vecchio, non so se avrò la forza. Però ammetto che è una sfida che mi manca».