L’ANNO MAGICO DEL CALCIO ITALIANO NON VA SPRECATO
«Calcio is Back», è lo slogan ambizioso scelto dalla Lega Serie A per veicolare questo magnifico anno in giro per il mondo. Marketing pomposo ma inevitabile perché, comunque andrà a finire, questa stagione sarà in ogni caso un momento di ripartenza.
LE FINALI
Non sono un dettaglio, ovvio. La verità ce la diranno Istanbul, Budapest e Praga. Tre città magnifiche, che nell’immaginario dei tifosi di Inter, Roma e Fiorentina servono in questo momento a proiettare sogni e avventure. Possibilmente con finale di coriandoli e coppe alzate al cielo. Fin qui il presente. Ma sarà il futuro, quello di medio periodo, a dirci se siamo di fronte all’exploit di un momento o a una vera rinascita. Su questo tema mi capita spesso di incontrare inguaribili pessimisti, pronti a sminuire. Non sono d’accordo. Godersi il momento è doveroso. Prima di tutto perché le cose belle della vita vanno sempre celebrate. Nunc est bibendum, direbbe Lotito. E poi perché segni reali di crescita ci sono, basta saperli vedere. Tre italiane nelle tre finali europee. L’ultima volta nel 1994. Vi sembra poco? Abbiamo battuto club come Barcellona, Tottenham, Liverpool, Porto, Benfica, Sporting (che aveva piegato l’Arsenal), Real Sociedad, Bayer e senza particolari colpi di fortuna, al netto della mano fatata di Patrick Kluivert nei sorteggi Champions che ha sicuramente disegnato una corsia preferenziale. Cinque semifinaliste su dodici, col Napoli che domina il nostro campionato ma va fuori nel derby con il Milan. E con l’uscita di scena della Juve ai supplementari contro una squadra che pochi giorni prima aveva umiliato il Manchester United. Fa male, certo, ma non è una vergogna.
LA SFIDA
L’errore più grande ovviamente sarebbe cullarsi su questi risultati. La roadmap del nostro calcio resta complessa. Stadi più moderni, differenziazione dei ricavi, lotta al razzismo e alla violenza, valorizzazione dei settori giovanili. Abbiamo mille cose da fare e su tanti temi siamo rimasti indietro. Però va riconosciuto che i nostri dirigenti negli ultimi anni, in un momento di crisi economica e incertezza, siano stati bravi. Hanno trasformato il paradigma architettonico di Mies Van Der Rohe, “Less is More”, in una filosofia vincente. Pochi soldi? Allora ecco molte buone idee. Il mix giusto di talenti emergenti Osimhen, Lautaro, Kvara, Leao e vecchi campioni da rilanciare.
Tre nostre finaliste nelle Coppe non sono un caso: con meno risorse e più idee si può competere con i migliori in Europa
IL GIOCO
Il resto lo stanno facendo gli allenatori. De Zerbi è l’ambasciatore perfetto di un calcio italiano distante dai vecchi stereotipi. In Italia si sta tornando a giocare a pallone. Spalletti ha vinto attraverso il dominio del possesso palla e la capacità di migliorare i calciatori. Sarri ha portato in alto la Lazio aggiungendo equilibrio a un’idea comunque alta di football. Anche chi sceglie modelli diversi (perché a dispetto di slogan e fazioni non esiste una sola strada per arrivare al successo), come nel caso di Mourinho con il suo calcio furiosamente carismatico, lo fa per esigenze contingenti e comunque in maniera efficace. Ancora più
significativo è poi il fatto che molti club partiti con l’obiettivo dichiarato di salvarsi comunque scelgano allenatori che non rinunciano al gioco: Baroni, Paulo Sousa, Zanetti, Dionisi. Altri dettagli, non banali: tutti danno tutto, sempre. A differenza di parecchi anni fa, non ci sono partite scontate nemmeno nelle ultime giornate. E quattro vincitrici diverse negli ultimi anni non le ha nessuno. Il campionato “poco allenante” di cui parlava giustamente Capello qualche tempo fa sembra un ricordo lontano.
I VERDETTI
Quest’anno avrò visto centinaia di partite di calcio europeo. Anche voi, immagino. Le squadre della borghesia in Germania, Spagna e Francia non hanno nulla più delle nostre, e anche nel paradiso Inghilterra i soldi non sempre regalano la felicità, pensate ad esempio a questo Chelsea confuso e infelice. L’Inter parte sfavorita col City ma in questo momento in Europa ha poche squadre davanti. Roma e Fiorentina proveranno a fare la storia. Ma la vera partita sarà quella che giocheranno da questa estate dirigenti e tecnici. A loro spetta la possibilità (e la responsabilità) di trasformare questo mitico 22-23 in una regola, e non nella più dolce delle eccezioni.