IL PREDESTINATO
“mamma”. Esagero (ma non troppo). Nato per essere un grande allenatore della Roma, ancora prima che un grande calciatore o qualsiasi altra cosa.
L’Incantatore Sconvolge più che altro prendere atto che, dopo appena tre settimane, la tumultuosa marea dei vedovi di José non è più che un flebile e quasi impercettibile lamento. Prova definitiva che di un’ipnosi di massa s’era trattata. Se persino quelli che più bruciavano d’amore oggi fanno fatica a simulare un cordoglio di maniera. Chiedetemi se sono sorpreso. «Sorpreso io? Sareste sorpresi di quanto poco io sia sorpreso», direbbe l’inimitabile Gary Oldman di Slow Horses. E non solo per l’ovvia ragione che di questi tempi nulla dura più di un fuggevole pensiero. Circostanze propizie hanno dato una mano al pivello, a cominciare dal calendario, un babà vero, e qualche discreto aiuto della sorte, a Salerno più che altro. Ma, attenzione, non basta a spiegare. In questi venti giorni Daniele ha indovinato tutto. A cominciare da tutte, dico tutte, le parole che ha messo in fila come allenatore della Roma (ha sbagliato fin qui solo una cosa, a non esserci quella mattina dell’addio a Giacomino Losi, ma quella è una storia tutta da spiegare). Daniele ha cancellato Mou anche sul suo terreno. Quello dello show di parola. Da troppo tempo l’Incantatore Josè stava giocando la sua partita altrove. Ha dato spettacolo, Mourinho, a bordo campo, in sala stampa, nei social e nei diari amorosi dei seguaci, ovunque tranne che in campo. La sua Roma arrancava e sgobbava nelle sue trincee di nervi e di sudore, oppressa dal sospetto di essere ben poca cosa? Poco male. Lui, Mou, si riprendeva il centro della scena come l’istrionico padre padrone che dispensa in pubblico carezze al figlio “ben poca cosa” dopo averlo bastonato nel modo peggiore.
Riconciliazione Cosa fa Daniele De Rossi, sin dal primo giorno del suo sogno realizzato? Spalanca le finestre di Trigoria e fa entrare il sole e azzarda i primi timidi sorrisi. Spazza via la faccia qui. Ben prima e ben più profonda delle innovazioni tattiche o di formazione. Nasce dalla sovversione radicale degli umori. Quando l’umore, nel bene e nel male, non è più quello dettato da un solo uomo. Per il resto, el gringo di Ostia Mare (via la barba, please, liberiamo il volto ora, oltre che la Roma) era già allenatore della Roma quando “rubava” da calciatore le idee di Luis Enrique e di Luciano Spalletti, la bellezza di trame che viaggiavano veloci dall’interno all’esterno e viceversa, ma sempre con l’idea di calpestare l’erba altrui. È davvero un caso se tutto oggi si allinea, se tutti hanno voglia di esserci, di guarire e di tornare in fretta? Ci saranno passaggi a vuoto. Non importa. Forse già da domani, con l’Inter. Comunque vada, è tornata forte l’idea che riconcilia i tifosi romanisti con il loro vero desiderio, da Nils Liedholm a oggi. Che non è la devozione a un capo, ma l’attesa della bellezza. «Non m’importa di avere i grandi nomi del presente, sono pronto a lavorare con i bambini del futuro», aveva detto Mou a fine corsa. Per fortuna, i bambini (come Zalewski) ma anche i vecchi (come El Shaarawy e Pellegrini) lavoreranno con Daniele De Rossi. Anche i fuori della classe come Paulo Dybala, quelli che prescindono dal burattinaio di turno, sta dimostrando di apprezzare. Lo show manipolatorio è finito. È cominciata una storia tutta diversa, tutta da raccontare.