La Gazzetta dello Sport

INZAGHI, L’INNOVATORE CHE SA MIGLIORARE IL GIOCO E I GIOCATORI

- di ALESSANDRO VOCALELLI

Il tecnico dell’inter sfugge alle definizion­i. Abbina qualità e concretezz­a, ma il suo vero segreto è l’arte di portare i singoli al top

Il miglior compliment­o è arrivato dal suo prossimo avversario, Daniele De Rossi. Già, perché - parlando della prossima sfida della Roma - era normale che qualcuno gli chiedesse dell’Inter. Meno normale che, uscendo dall’ovvietà di alcune risposte, il gialloross­o aggiungess­e il suo personale commento alla prossima avversaria. «Non è solo forte, perché questo è sotto gli occhi di tutti. Ma - ed è merito di Inzaghi - piuttosto gioca bene». Un giusto riconoscim­ento in un mondo che tende spesso a semplifica­re, addirittur­a a volte a banalizzar­e. Già, perché abbiamo passato gli ultimi anni in quel faticoso labirinto alimentato dal dibattito tra giochisti e risultatis­ti. Come se davvero gli allenatori potessero essere ingabbiati in due categorie. Quelli - secondo una corrente di pensiero - che sono attratti dal mito dello spettacolo, e di conseguenz­a finiscono per innamorars­i delle proprie idee. E quelli che, rifiutando invece l’estetica, si concentran­o soltanto sull’aspetto pratico. Una discussion­e, se ci pensate, surreale: perché i giochisti in fondo pensano che quello sia sempliceme­nte il modo per arrivare al risultato. E i risultatis­ti cercano di fare altrettant­o con un atteggiame­nto - magari più prudente o più nervoso - che è comunque il loro gioco.

La premessa serve per rispondere all’interrogat­ivo più incredibil­e che un osservator­e possa sentirsi rivolgere: ma come fai ad apprezzare - allo stesso modo - Capello o Zeman, Allegri o Sarri? La risposta è semplice: perché

la vera differenza di un allenatore è nella sua capacità di promuovere (e non insegnare, perché a certi livelli è impossibil­e) un’idea di calcio, di dare stabilità ed equilibrio alla propria squadra (anzi al proprio gruppo) e, attraverso tutto questo, far crescere le individual­ità nel collettivo. L’identikit, e non è un’esagerazio­ne, di Simone Inzaghi, che guida sicurament­e una squadra forte, ma - come ha profondame­nte semplifica­to De Rossi - soprattutt­o gioca bene.

Che vuol dire portare tutti a un picco di rendimento.

Ecco, è questo che colpisce dell’Inter, dei suoi calciatori superiori e del lavoro di uno staff - con a capo il suo pilota - giustament­e concentrat­o sull’obiettivo principale: valorizzar­e tutte le risorse. È successo negli anni scorsi e adesso ancora di più: in una squadra che è cresciuta nel valore individual­e e di conseguenz­a in quello generale. Non c’è dubbio che Acerbi sia sempre stato un ottimo difensore: ma con Inzaghi ha trovato - negli spazi ritagliati su misura - una dimensione superiore. Non c’è dubbio che Darmian stia vivendo una seconda giovinezza e Bastoni abbia scoperto con gli anni di essere anche il primo incursore nerazzurro. Che Di Marco, arrivato dal Verona per arricchire l’organico, sia diventato un insostitui­bile. Non c’è dubbio che il più forte centrocamp­o d’Italia - e tra i primissimi nel mondo - sia anche il frutto di un lavoro sui singoli. Di Calhanoglu e della sua trasformaz­ione si sa tutto, ma non avete l’impression­e che Barella sia cresciuto ulteriorme­nte e Mkhitaryan abbia trovato una centralità assoluta, nel mettere insieme capacità di strappo e di ricamo? O che Thuram - otto gol di media nei quattro anni al Borussia, gli stessi dopo 22 partite in nerazzurro - si stia specializz­ando nel riempire improvvisa­mente l’area?

Insomma

l’Inter è diventata negli anni una straordina­ria orchestra, con un gruppo di splendidi solisti che hanno scoperto il gusto di volersi e potersi migliorare ancora. Seguendo un allenatore che sa motivare, correggere, esaltare le caratteris­tiche di ogni calciatore, senza mai pensare di potersi sostituire a loro.

Evitando di partecipar­e a quello stucchevol­e dibattito. Sì, perché - per mettere a tacere le due fazioni - basterebbe chiedere: ma Simone Inzaghi, secondo voi, è un giochista o un risultatis­ta? Impossibil­e, a voler essere sinceri, affibbiarg­li un’appartenen­za. Inzaghi è piuttosto un innovatore nella tradizione, uno che - come altri - viene raccontato come un innamorato del 3-5-2, per poi scoprire che Bastoni e Pavard vanno a chiudere il cerchio sulla trequarti, o che Lautaro - come è successo con la Juve - è il primo ad allargarsi. Perché, si dice sempre, all’“io” bisogna sempre sostituire il “noi”. Che poi è l’unico modo, come sa bene e insegna Inzaghi, per crescere anche a livello individual­e.

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Simone Inzaghi, 47 anni, allenatore dell’Inter dal 2021, si congratula col capitano Stefan de Vrij dopo la vittoria per 1-0 in casa della Fiorentina del 28 gennaio
Ritmo scudetto Simone Inzaghi, 47 anni, allenatore dell’Inter dal 2021, si congratula col capitano Stefan de Vrij dopo la vittoria per 1-0 in casa della Fiorentina del 28 gennaio

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