Il disastro di Rigopiano: 22 assoluzioni, 8 condanne «Non è stata resa giustizia»
In appello altre tre persone giudicate colpevoli tra cui l’ex prefetto di Pescara. Rabbia dei familiari
Una sentenza parzialmente riformata. Che non può e non potrà mai alleviare il dolore dei parenti delle 29 vittime della strage di Rigopiano, in Abruzzo, del 18 gennaio 2017. Dopo l’assoluzione di quasi tutti gli imputati in primo grado, che scatenò la rabbia dei familiari in aula, in appello sono state tre le condanne in più, accolte in ogni caso in maniera contrastante dai familiari. A un anno e otto mesi, per falso e omissioni di atti di ufficio (per mancata convocazione della sala operativa), è stato condannato l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, che in primo grado era stato assolto: l’accusa aveva chiesto per lui dodici anni. E allo stesso modo sono stati condannati anche Enrico Colangeli (due anni e otto mesi), tecnico comunale, e Leonardo Bianco (un anno e quattro mesi), dirigente della Prefettura di Pescara, che in precedenza erano stati assolti.
Rinvii Il dispositivo della sentenza d’appello ha stabilito pure 22 assoluzioni, tra cui quella dell’ex presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco. Mentre sono state confermate le sentenze di condanna (cinque in tutto) del primo grado per il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, due anni e otto mesi; per i due funzionari della Provincia, Mauro Di Blasio e Paolo D’Incecco (tre anni e quattro mesi ciascuno), responsabili della viabilità e pulizia della strada che conduceva al resort; per Bruno Di Tommaso (6 mesi), l’ex gestore dell’albergo, e
Giuseppe Gatto (6 mesi), il consulente che produsse la relazione tecnica, su richiesta della “Gran Sasso spa”, società che gestiva il resort, per tettoie e verande che poi cedettero con la valanga. Quel giorno maledetto di oltre sette anni fa, il lussuoso resort alle pendici del versante pescarese del Gran Sasso, l’Hotel Rigopiano appunto, fu travolto e a perdere la vita furono 29 persone sotto migliaia di metri cubi di neve che spazzarono via tutto. I familiari, presenti ieri in aula, non hanno mai smesso di chiedere giustizia in questi anni: lo hanno fatto appelli, processioni e con magliette a occupare simbolicamente le sedie di aule di tribunali spesso svuotate in pochi minuti per i continui rinvii, ben 15 dalla prima udienza del 16 luglio 2019 in attesa della sentenza di primo grado. Per l’accusa quanto accaduto fu «un fallimento di un intero sistema», ovvero «l’omessa pianificazione territoriale di una Legge del 1992».
Reazioni Rispetto ad una sentenza che ha confermato la sostanza delle decisioni dell’anno scorso pur aggiungendo tre condanne, Egizio Bonifazi, papà di Emanuele, ha spiegato che il vero colpevole, la Regione, non sia stato coinvolto: «Con questa sentenza muore la prevenzione in Italia, nessuno dei vertici è stato condannato, avrebbero dovuto chiedere aiuto, si sono affidati ai loro sottoposti che non hanno fatto niente». Mentre Alessandro Di Michelangelo, fratello di Dino, ha parlato di «una sentenza che ripaga, seppur in parte, la delusione di quella di primo grado. Certo, non ci sono vincitori né vinti, ma si intravede la luce della verità». Profondamente deluso, invece, Alessio Feniello, padre di Stefano, 28 anni, morto nella tragedia: «Ci siamo meritati questa sentenza, avremmo dovuto occupare il tribunale di Pescara dopo la sentenza di primo grado. In Italia se rubi una gallina vai in carcere, se ammazzi 30 persone sei assolto. È una pagliacciata, non una sentenza. Ci aspettavamo di più. La condanna della Regione e della Provincia. Non penso che sia una cosa normale tirare dentro un tecnico comunale e l’ex prefetto per depistaggio. Andavano condannati altri personaggi. Se oggi avessero preso tutti l’ergastolo a me non cambiava nulla. Ma potevo guardare la foto di mio figlio e dire: ho fatto il mio dovere per darti giustizia».