La Gazzetta dello Sport

IL TORO È CASA MIA

« SONO CUORE GRANATA SOGNO GLI EUROPEI E CONTINUO A STUDIARE: MI AIUTA PURE IN CAMPO»

- Walter Veltroni

«Il momento più bello, più intenso della mia esperienza qui al Toro è stato quando, a Superga, il capitano Rodriguez mi ha detto che avrei letto io i nomi dei giocatori, delle vittime di quella tragedia. In quel momento ho vissuto il punto più alto di un’appartenen­za che sento molto. Essere del Torino non è come essere di un’altra squadra, con tutto il rispetto. Noi siamo stati grandi, abbiamo vinto molto, ma abbiamo anche sofferto tanto. Il fato si è accanito con noi cancelland­o dalla faccia della terra la squadra più forte di quel tempo, quella di capitan Mazzola, e poi il giocatore più significat­ivo, più simbolico, degli anni Sessanta, Gigi Meroni. Noi siamo dolore e gioia, siamo tragedia e festa. Noi siamo il Torino. Mentre leggevo quei nomi, sentivo il peso e l’onore di questa identità».

È per questo che lei, Alessandro Buongiorno, quest’estate non è voluto andare all’Atalanta e a gennaio forse in un’altra grande che la voleva?

«Abbiamo parlato molto in quei giorni, il presidente Urbano Cairo e io, e ci è sembrato che restare fosse la scelta più giusta. Per me e spero anche per la squadra. Io qui sto bene, sono contento. Noi sappiamo di dover far leva sul collettivo, sul senso di squadra. Siamo un’orchestra, non un gruppo di solisti. È il Torino, la mia “grande”».

► Quando tornerà in campo?

«Ci siamo quasi, torno presto. L’infortunio alla spalla per fortuna mi ha consentito comunque di allenare le gambe, di correre. Ma non ce la faccio più. Durante le terapie ogni tanto ho calciato una palletta di gomma. Mi manca il campo, stare con i compagni e tornare a giocare».

► Ecco, fermiamoci su questo verbo, giocare. Nessuno dice “il gioco della boxe” o “il gioco del motociclis­mo”. È il calcio, il gioco per eccellenza…

«Per me è la base di tutto, divertirsi è necessario. Fare il calciatore non è solo un lavoro, è una passione che ha a che fare anche con te stesso bambino. Io da piccolo avevo sempre un pallone in mano, lo tenevo in casa, in garage, ovunque. E appena potevo, giocavo. Giocavo non con l’idea di diventare un campione, ma di divertirmi. Giocavo per me, giocavo con i miei amici. Il calcio mi ha sempre fatto stare bene».

► Da bambino faceva, come tutti, la collezione delle figurine?

«I miei hanno sempre lavorato, sono tutti e due impiegati. E non sarò mai tanto riconoscen­te nei loro confronti per il modo in cui mi hanno lasciato libero di fare le mie scelte al tempo stesso responsabi­lizzandomi. I mei nonni mi venivano a prendere a scuola e mi portavano al campo. Ma prima ci fermavamo all’edicola per comperare le figurine. Per anni ho scritto all’ufficio competente della Panini per ricevere le mancanti. Ho potuto completare così molti album».

► Che impression­e le fa, allora, essere diventato lei una figurina?

«Ne sono orgoglioso. Quando l’ho vista, la prima volta, ho ripensato a tutta la fatica fatta: al fango, ai calci, agli infortuni. Ma ce l’ho fatta. Perché ho sempre cercato di migliorare, non mi sono mai accontenta­to».

► Lei fa parte di una nuova generazion­e di calciatori. Quelli che studiano, si laureano. E fanno meno rumore, come la foresta che cresce, di quelli che fanno cose poco commendevo­li.

«Dopo il diploma sono andato a giocare a Carpi. Ho deciso di prendermi quel tempo come un anno sabatico. Giocavo con la playstatio­n, uscivo con gli amici. Ma poi mi sono accorto che mi sembrava di sprecare tempo di vita, di banalizzar­e le giornate. Così mi sono iscritto all’università, mi sono laureato e ora studio per prendere la magistrale in Management dello Sport. Studiare mi ha fatto aprire la mente. Mi serve anche in campo, capisco meglio le cose, le vedo prima e più in profondità».

► Credo che Luciano Spalletti ami i ragazzi come lei, credo cerchi, oltre i piedi buoni, anche la testa e l’animo buoni. Sarà all’Europeo?

«Sto facendo di tutto per recuperare, per arrivare pronto. So che in Nazionale non basta essere forti. Lì guardano, giustament­e, anche la qualità umana, la capacità di stare nel gruppo, di sentirsi parte e non tutto. Spero proprio di farcela, sto alzando i ritmi e faticando non solo per la maglia granata. Anche per quella azzurra».

Chi è l’attaccante più difficile da affrontare?

«Per me Lukaku. È molto ostico. Ha una grande fisicità, e la usa. Bisogna stare molto attenti a non dargli campo. Con lui è necessario giocare di anticipo. Un altro fortissimo, anche se fin qui non l’ho mai marcato, è Osimhen. Ha corsa, potenza, cattiveria agonistica».

► Un difensore a cui si ispirava da ragazzo?

«Due. Nesta e Maldini. So a memoria le loro partite, ho consumato Youtube per vedere il modo in cui difendevan­o e partecipav­ano al gioco».

► Partite indimentic­abili?

«Quella in Coppa Italia contro il Milan (11 gennaio 2023, ndr). Vincemmo in dieci con un gol nella fase finale. Poi l’esordio in Nazionale, durante la Nations League (il 18 giugno 2023, in Olanda-Italia 2-3 ndr). Io non ero tra i convocati e stavo in vacanza con i miei amici. Il giorno prima della chiamata avevo fatto uno scherzo dicendo che ero stato contattato per raggiunger­e gli azzurri. Quando poi è successo davvero non ci credevano. Ma soprattutt­o il mio esordio in maglia granata contro il Crotone (il 4 aprile 2018, ndr). Entrai all’ottantesim­o e mi infortunai al gomito sei minuti dopo. Gioia e dolore, roba da granata».

► Com’è Juric?

«Un allenatore tosto, che giustament­e chiede tanto, che pensa al gruppo e lo difende. Quando lo abbiamo conosciuto non eravamo abituati a quei ritmi di lavoro, a quell’intensità di preparazio­ne e di gioco. Ma ora abbiamo capito il suo modo di intendere il calcio e cerchiamo di applicarlo. Non so dove potremo arrivare, ma certo il più in alto possibile».

► Una volta lei ha fatto questo racconto, a proposito del suo cognome: “Il primo giorno al Torino sono arrivato in campo, davanti a tutti, e l’allenatore mi ha chiesto: ‘Come ti chiami?’. E io: ‘Buongiorno’. E lui: ‘Buongiorno anche a te, come ti chiami?’. E io: ‘No no, Buongiorno’. Insomma, siamo andati avanti un minuto… e da lì è diventato un rito”.

«Per tutta la vita al mattino ho subito il “Buongiorno, Buongiorno”. All’inizio un po’ me la prendevo, ora ci scherzo. Ho anche inventato l’esultanza con il caffè. Il caffè del Buongiorno».

► So che lei ha una attenzione particolar­e per i bambini.

«Vado spesso dai bambini e in particolar­e da quelli meno fortunati. Alla fine, sono sempre loro a dare forza a me. Cerco di suggerire ai ragazzi la bellezza dello stare insieme, non quella di passare la vita davanti ai social. Cerco di spingerli a socializza­re, a conoscersi, a sfuggire alla solitudine. Lo sport e lo studio rendono migliori. E non è impossibil­e farli convivere, nel nostro tempo. È quello che cerco sempre di dimostrare, in campo e sui libri».

Il difensore: «In estate con il presidente Cairo abbiamo preso la giusta decisione. Non vedo l’ora di rientrare»

L’esultanza Ho inventato l’esultanza con il caffè: il caffè del Buongiorno Scherzo sul mio cognome

Nazionale Sto facendo di tutto per arrivarci pronto. So che in Nazionale non basta essere forti

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