La Gazzetta dello Sport

IL TURNOVER LOGORA CHI NON PUÒ FARLO I CASI DI MILAN E INTER

- di LUIGI GARLANDO

Domenica didascalic­a quella che ci siamo lasciati alle spalle, perché ha messo in campo insieme Inter, Juve e Milan e così è stato ancora più facile capire perché Inzaghi ha 9 punti in più di Allegri e 13 in più di Pioli, con una partita in meno. Prendiamo il raddoppio di Frattesi in Via del Mare. L’azione sgorga dai guanti di Audero, viene sviluppata da Bisseck, attraversa tutto il prato e, al settimo tocco, Sanchez assiste l’irruzione vincente di Frattesi. L’Inter ha srotolato spesso azioni del genere da porta a porta, con triangoli in corsa e automatism­i che in tre anni Inzaghi ha piantato nella memoria della squadra. Tre anni di Allegri non hanno trasmesso altrettant­e conoscenze alla Juventus, settima in Serie A per numero di azioni manovrate. Lo si è visto platealmen­te anche contro il Frosinone. Nella facilità di palleggio degli uomini di Di Francesco, si specchiava l’imbarazzo in costruzion­e dei bianconeri, condannati all’improvvisa­zione, senza la guida di linee di gioco sicure e con poco movimento negli spazi. Imbarazzan­ti anche le lunghe attese davanti al giro-palla del Frosinone per mancanza di un pressing collettivo. Anche l’indice di riaggressi­one, cioè i passaggi concessi alla prima impostazio­ne degli avversari, vede la Signora nelle retrovie. Al contrario, l’Inter è saltata subito addosso al Lecce, l’ha chiusa in area fino al primo gol di Lautaro e ha tirato dritto fino alla fine, segnandone altri 3, senza fermarsi a speculare. Abituarsi a giocare e ad attaccare anche quando non ne hai bisogno, trasformar­lo cioè in un atteggiame­nto naturale, rende più semplice imporselo quando i gol ti servono. La Juve di Allegri non ha imparato questa abitudine, come dimostra una terza classifica virtuosa che la vede in affanno: quella dei tocchi nell’ultimo terzo di campo, dove si

scrive la storia del match. Un calcio del genere, senza possesso, senza aggression­e, senza spirito offensivo, in Europa non lo gioca quasi più

nessuno. È un vinile tra i cd. Gol episodici, spesso da fermo, come quello di Rugani che domenica ha fruttato 3 punti, hanno mascherato la classifica della Juve, ma, alla lunga, la differenza di gioco ha scavato il baratro di 12 punti virtuali. Gioco, non giocatori, perché sul piano della qualità individual­e Max ha poco da invidiare a Inzaghi. E se alcune pedine oggi appaiono superiori, come Calha, Dimarco, Mkhitaryan..., lo devono proprio al gioco e alle conoscenze che li hanno fatti lievitare. Come non accade alla Juve. Yildiz è calato dopo l’esordio abbagliant­e, Chiesa non è mai stato il vero Chiesa, Vlahovic mai ad altezza Fiorentina, Locatelli, Miretti e Iling-Junior non sono cresciuti.

Inzaghi a Lecce ha cambiato metà squadra rispetto alla vittoria sull’Atletico Madrid. Non se n’è accorto nessuno. L’imbucata di Asslani, in crescita costante dopo un anno di studio, per il primo gol di Lautaro, era degna di Cahla. Nell’azione del raddoppio, box to box, che abbiamo raccontato, sono entrati Audero, Bisseck, Sanchez, Frattesi..., tutte alternativ­e ai titolari. Quando Pioli ha provato a cambiare più di metà squadra a Monza, una settimana prima, ci ha lasciato 3 punti. Ricomposto il vero Diavolo contro l’Atalanta, ha ottenuto un partitone.

La lunghezza e la qualità della panchina hanno scavato gran parte del divario tra le due milanesi. Al di là degli infortuni, a Pioli sono mancati il difensore centrale di piena affidabili­tà e un’alternativ­a a Theo Hernandez, che in estate erano parse necessità imprescind­ibili. Molte delle nuove proposte non hanno ancora risposto alle attese: Chukwueze, Okafor... Anche chi ha fatto meglio (Reijnders, Loftus-Cheek) non ha raggiunto l’incidenza di un

Pioli ha stravolto la squadra a Monza ed è crollato. Inzaghi lo ha fatto a Lecce e nessuno ha notato la differenza

Thuram. La distanza tra titolari e alternativ­e del Milan è superiore a quella dell’Inter. I quattro esterni nerazzurri, per esempio, si equivalgon­o. Quando scatta la staffetta in fascia, la squadra di Simone riceve una frustata di energia che Pioli non può permetters­i. Il Milan un gioco ce l’ha, anche evoluto, bello, come dimostrato con l’Atalanta. Un gioco fatto di funzioni mobili, più liquido e imprevedib­ile di quello dell’Inter, ma anche più difficile da interpreta­re, specie dalle riserve, perché meno codificato. Domenica abbiamo capito un po’ meglio perché la capolista ha fatto il vuoto alle sue spalle.

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 ?? ?? Le guide di Milano Simone Inzaghi, 47 anni, allenatore dell’Inter e Stefano Pioli, 58, tecnico del Milan. La distanza in classifica tra le due milanesi si spiega molto con la differenza di rendimento delle seconde linee
Le guide di Milano Simone Inzaghi, 47 anni, allenatore dell’Inter e Stefano Pioli, 58, tecnico del Milan. La distanza in classifica tra le due milanesi si spiega molto con la differenza di rendimento delle seconde linee

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