SARRI ALLO SBANDO LA LAZIO HA TRE MESI PER REINVENTARSI
Ifischi dell’Olimpico - una colonna sonora a tutto volume - hanno decretato la fine del ciclo di Sarri, prima ancora che il tecnico prendesse la decisione più sofferta. Dimissioni irrevocabili. Per certificare la fine di una suggestione, di un sogno, secondo alcuni un miracolo. Sparita quella squadra brillante, moderna, entusiasmante, capace di issarsi alle spalle del Napoli. Al suo posto - irriconoscibile - una Lazio allo sbando, senza idee e riferimenti. Con Luis Alberto in panchina, la testa fra le mani, a nascondere addirittura una lacrima. E Immobile, a passo lento e con una smorfia stampata sul viso, lì a chiedersi: ma se stiamo perdendo, perché mi sostituisce? La foto strappata e così tanto sbiadita da farti chiedere: possibile che siano passati soltanto dieci mesi?
Certo è che ha le sue colpe: ma non può essere l’allenatore, solo l’allenatore, il responsabile di una caduta così verticale. Così come lo scorso anno, giustamente, ci si affannava a distribuire i meriti di un’impresa, così adesso sarebbe assurdo e sbagliato concentrare le responsabilità su un’unica componente. La caduta della Lazio ha radici, diciamo così, lontane e va al di là del tonfo con l’Udinese. La Lazio ha perso se stessa in estate, quando si è contraddetta più volte e ha pensato di adagiarsi su uno dei tanti slogan abusati, e spesso sbagliati, del calcio: squadra che vince non si cambia.
Ignorando che proprio nel momento del successo, della vittoria, bisogna avere il “coraggio” di dare una sterzata. Capitalizzando quanto di buono è stato fatto, rigenerando motivazioni e stimoli. La Lazio ha allargato invece la rosa, rimanendo però prigioniera delle sue stesse incertezze: lunedì, tra i titolari, non c’era neppure un nuovo acquisto.
Undici giocatori su undici: gli stessi della passata stagione, senza però Milinkovic Savic. La Lazio, per la verità, ha finito per emulare se stessa, fallendo anche stavolta il fatidico salto di qualità, Era successo con Delio Rossi, con Pioli, con Inzaghi: raggiunta la Champions. il progetto si è bruscamente fermato. E la storia si è ripetuta con Sarri, che - sollevando la società dai dubbi e lasciando 5 milioni netti sul tavolo - ha finito per accelerare il futuro. Perché, paradossalmente, la sconfitta con l’Udinese può trasformarsi in un’opportunità. Per anticipare i tempi e avviare quella rivoluzione che - come detto - bisognava avere la forza di mettere in pratica l’estate scorsa, intervenendo sulla struttura portante.
Ora la Lazio - con dieci partite di campionato ancora davanti e una Coppa Italia da trasformare in un traguardo primario - ha tre mesi per organizzare il proprio domani. In maniera radicale. Perché bisogna scegliere la prossima guida tecnica, perché Immobile sembra sul punto di salutare, perché lo ha già fatto Felipe Anderson, perché Zaccagni si avvia verso l’ultimo anno di contratto, perché Pedro è già con la valigia in mano… perché, insomma, bisogna ripartire quasi da zero. Certo, questa volta non ci saranno i 40 milioni di una cessione eccellente - come quella di Milinkovic - e non ci saranno i 60 milioni garantiti dalla Champions. Ma proprio per questo - perché bisognerà moltiplicare le idee - non c’è tempo da perdere. C’è un popolo che, forse mai come stavolta, chiede e pretende risposte chiare. Il ciclo Sarri - comunque con un secondo posto e un ottavo di Champions - si è chiuso. E ora?
Errori antichi e non solo colpe del tecnico. Serve subito il coraggio per una rivoluzione