La Gazzetta dello Sport

Montagne Rosse

DALL’APPENDICIT­E AL TRIONFO PIÙ BELLO LA TENACIA INFINITA DI MATADOR SAINZ Ha reagito con carattere alle scelte Ferrari E come aveva promesso è uomo-squadra

- di Mario Salvini

L’ha cantata anche stavolta: Smooth Operator di Sade, come sei mesi fa a Singapore. Perché è il suo inno e in definitiva lo rappresent­a. “Smooth Operator”, tradotto non troppo letteralme­nte, “colui a cui tutto riesce facile”. Verso che è diventato mantra, idea fissa e suo obiettivo di pilota. Quando vince, Carlos Sainz, vince perché fa tutto alla perfezione. Era stato così a a settembre a Marina Bay. È stato così all’alba di ieri all’Albert Park, a sei chilometri dalla Rod Laver Arena dove a gennaio Jannik Sinner ci aveva dato un’altra delle più belle gioie sportive di questo 2024. A riconferma che quando le condizioni ci sono lui, Carlos, sa vincere. È un top driver.

Sottovalut­ato Forse inconsapev­olmente, però, prima della sua canzone simbolo, aveva citato un altro titolo che in generale lo rappresent­erebbe molto meglio: «Life is a Rollercoas­ter», ha detto. Il brano è di Ronan Keating. La spiegazion­e sua, di Sainz: «Due settimane fa mi operavano di appendicit­e, oggi ho vinto: la vita è una montagna russa». Di cui il gran premio di Australia non è stato che l’ultimo saliscendi. Ennesimo tuffo al cuore di una corsa che è stata tutto tranne che “Smooth”, tutto tranne che liscia. È come se, una volta arrivato in F.1, Carlos abbia scontato, e stia ancora facendolo, tutte le innegabili agevolazio­ni avute nell’apprendist­ato e nell’avviciname­nto. Essere figlio di un due volte campione del Mondo di rally, di una leggenda del motorsport come Carlos senior che a 60 e più anni continua a vincere Dakar, gli ha dato possibilit­à solo sognate da migliaia di altri giovani aspiranti piloti. Ma una volta arrivato alla Driver Academy della Red Bull è iniziato il contrappas­so. Sotto forma di metodi da collegio ottocentes­co di Helmut Marko, di promozioni – dalla Toro Rosso alla prima squadra – mai arrivate, di un passaggio in corsa alla Renault. E di una nomea di pilota solido, concreto, bravo sì, tutti d’accordo: ma non un campione. Finito in McLaren, il primo anno ha messo insieme quasi il doppio dei punti di Norris (96 a 49), e ci stava: Lando era esordiente. Solo che poi Carlos ha fatto meglio anche nel campionato successivo. Però non era lui, quello su cui puntare. Aveva 26 anni, quanti ne hanno ora Verstappen e Leclerc, 16 meno dell’attuale, sempre ben pimpante Alonso. Carlito non ha mai avuto quanto è sempre stato convinto di meritare. Cento volte glielo abbiamo letto in faccia, in tutte queste stagioni. Ma non glielo abbiamo mai sentito dire: nessuna parola giù di posto, non una polemica. In una delle migliaia di occasioni a cui gli hanno domandato quali consigli desse al figlio, Carlos Senior ha risposto: «Non tanto su cose tecniche. Parliamo più di come restare freddi di fronte alle difficoltà, di come essere persone per bene, ma che si fanno rispettare. Perché la vita è lunga, e bisogna essere sicuri di essere nel giusto...». Nel giusto anche quando ci si ritrova ad andare su e giù per le Montagne Rosse di Maranello. Anche quando, il 2 febbraio 2024, il mondo ha saputo che sulla sua macchina nel 2025 si accomoderà Lewis Hamilton. E dunque lui per quel campionato un’auto non ce l’ha. È stato in quel giorno che si è avuta l’esatta percezione di come la sua stagione 2024 sarebbe potuta diventare un romanzo. Ieri Carlos ha tolto il condiziona­le.

Un romanzo A Melbourne ha scritto un capitolo. Non il primo, certamente il più memorabile. Fin qui. Aveva cominciato alla presentazi­one del team. «Sarò uomo squadra – aveva detto – e cercherò di fare quanto di meglio per trovarmi al posto giusto nel momento giusto». Aveva due modi di reagire alla botta. Mettere il muso, mostrarsi malmostoso, fare il minimo indispensa­bile. Oppure alzare la testa e col comportame­nto più nobile lasciare a noi, osservator­i e tifosi, tutti i cattivi pensieri e le recriminaz­ioni. A poche ore dall’intervento chirurgico a Gedda si è presentato in garage, lodato dal presidente John Elkann. «Uomo squadra», appunto. Poi s’è messo a letto con la febbre. Salvo volare in Australia – e non era del tutto scontato – per continuare a farlo vedere al mondo intero, quel che vale. Delle ultime 21 gare 19 sono state di Verstappen. Le altre due le ha vinte lui. «Non voglio pensare che sia la mia ultima possibilit­à di lottare per il Mondiale», disse anche alla presentazi­one del team. «Penso che il futuro abbia delle cose belle per me». Meglio cominciare subito, però. Da uomo squadra e non solo. Perché poi quel giorno aggiunse «Il pattò dev’essere che anche Charles mi aiuti se in lotta per il Mondiale dovessi esserci io». Il romanzo è appena cominciato.

 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy