ROMA REGINA DEL BASKET QUELLA STRANA FINALE DI QUARANT’ANNI FA
Sono passati 40 anni dalla conquista della Coppa dei Campioni da parte di Roma, ma sembrano trascorse ere geologiche se rapportiamo quel basket al basket di oggi. Non c’era Internet, il che rendeva tutto assai più controllabile. Il Banco di Roma alloggiava all’Hilton di Ginevra
e la mattina della finale il nostro preparatore atletico, vede nel negozio dell’albergo alcune copie di un quotidiano italiano. Ne scorre le pagine e trova in grande risalto, un’intervista a Larry Wright, nume tutelare del Banco, nella quale l’imprendibile folletto lancia accuse a tutto spiano contro squadra e società.
La cosa, oltre a sbalordire staff e dirigenti, poteva scioccare i giocatori che si apprestavano a combattere contro i mitici blaugrana di San Epifanio. Ci fossero stati i social come oggi, forse saremmo naufragati in un mare di polemiche, invece fu semplice intercettare tutte le copie di quel quotidiano facendole sparire dal negozio e fingere che nulla fosse accaduto. Ma le sorprese non finirono lì.
Nella stagione 83/84 il regolamento era ancora vergine del tiro da tre punti che fu introdotto la stagione successiva e che negli anni avrebbe portato a una mutazione antropologica del basket. A quel tempo, se alla fine del primo tempo eri avanti di 10 punti, la rimonta degli avversari comportava veri e propri eroismi sul campo. Oggi se sei avanti di dieci e ti distrai per bere un sorso d’acqua, con 3 tiri da tre gli avversari ti sono di nuovo addosso. Noi all’intervallo eravamo sotto di 10 punti, in balia del Barcellona. Sugli spalti i tifosi blaugrana già festeggiavano mentre i nostri, giunti da Roma a Ginevra con ogni mezzo, giacevano sconfortati sugli spalti come i naufraghi sulla zattera della Medusa. Accadde che i giocatori di entrambe le squadre si infilarono nel corridoio verso gli spogliatoi, quando Mike Davis del Barcellona, affiancando Larry, ebbe la pessima idea di dileggiare Wright dicendogli: «Hey Larry, questa sera starai all’asciutto perché il premio lo becco io!». Larry cominciò col lanciare fulmini dagli occhi e finì tuonando negli spogliatoi frasi a noi incomprensibili nel suo slang della Louisiana. Era la sua ribellione al pessimo andamento del primo tempo. I compagni ne furono galvanizzati, Larry tornò imprendibile e tutti diedero un grande contributo alla vittoria finale degli “underdog” romani. Devo dire che in quella stagione nel campionato italiano non arrivammo nemmeno ai playoff.
Già allora era complicato per i giocatori reggere il doppio confronto, figuriamoci oggi con l’assurdo calendario dell’Eurolega. Basti vedere le fatiche di Virtus Bologna e Olimpia e l’alto numero di infortunati in generale. Quella vittoria successiva allo scudetto del 1983 rese popolare a Roma un sport che fino ad allora era considerato elitario e quella popolarità si sarebbe ogni volta rinnovata nelle successive edizioni del basket romano con il Messaggero dei primi anni Novanta fino alla gestione dei primi anni dei fratelli Toti. Poi la rinuncia al diritto a partecipare all’Eurolega, fino all’ulteriore rinuncia alla Serie A, dopo un anno di lotta per non retrocedere, hanno precipitato il basket romano di vertice in un naufragio senza soccorsi in mare. Eppure la passione di allora attraverso un fiume carsico è sopravvissuta alle generazioni e riemerge di tanto in tanto in certe fortunate occasioni, mentre il grande mondo delle società giovanili continua a produrre giocatori per tutti i campionati.
*allenatore del Banco di Roma campione d’Europa 1983-84