Addio all’industriale che portò in F.1 il talento di Senna
Quella che portava il suo nome è forse il solo esempio di vettura resa celebre da un pilota. In un mondo in cui normalmente avviene il contrario. Uno dei dieci che l’hanno guidata in F.1, il solo capace di portarla – tre volte - sul podio: Ayrton Senna. Senza di lui in pochi ricorderebbero Ted Toleman, mancato l’altro ieri a 86 anni a Manila, nelle Filippine. Non lui, e forse nemmeno la scuderia nata dalla sua ambizione e da una delle sua tante intuizioni. Tra le quali, appunto, quella di andarsi a prendere quel giovane fenomeno brasiliano. Garantendosi, oltre al business anche l’immortalità nella galleria dei personaggi della F.1.
Da romanzo Dove Toleman dovrebbe essere inserito nella sezione – piuttosto nutrita, in effetti - delle figure da romanzo. Quando arrivò con la sua scuderia aveva 43 anni e i capelli già quasi tutti bianchi. Alle spalle avventure e lutti, successi e azzardi. Nato in Sud Africa, è stato cresciuto da una famiglia adottiva con cui si è trasferito in Inghilterra. Salvo tornare nel paese d’origine per dirigere piantagioni di banane e ristoranti. Dopo la morte del figlio Gary, ucciso in una sparatoria, è rientrato a Brentwood, nell’Essex, dove ha avviato la sua attività di movimentazione di auto. Oltre 500 bisarche Toleman attraversavano la Gran Bretagna spostando 600-700 mila auto l’anno. Da lì la diversificazione e le corse, la sua passione. Che nel 1976 gli hanno portato via il fratello Bob, vittima di un incidente in Formula Ford. Corse su strada e sull’acqua, le seconde intraprese di persona, tanto da diventare campione d’Europa nell’offshore. Mentre il Toleman Group, marchio campeggiante sul suo scafo, andava ingrandendosi nei campi più diversi: dai giocattoli agli infissi e alle calze. È così che il gruppo è passato da uno a 154 miliardi (di lire) di fatturato in meno di 10 anni. Così è nato il reparto corse, per avvicinare le case (Ford, Volkswagen) e aumentare la quota di loro auto movimentate. È così che la Toleman è entrata in F.2, dove nel 1980 è arrivato il trionfo con Brian Henton al volante e un giovane ingegnere che avrebbe contribuito ai trionfi di Michael Schumacher e della Ferrari, di cui è tutt’ora consulente: Rory Byrne. Per il salto in F.1, nel 1981, con lo stesso Henton e Derek Warwick. Scuderia inglesissima presto “italianizzata”, con l’arrivo di Teo Fabi, nel 1982. E nel 1983 con Bruno Giacomelli. Che ora racconta: «Toleman non lo si vedeva quasi mai. Dirigeva tutto Alex Hawkridge, il suo braccio destro. E quando sono arrivato gli sponsor erano tutti italiani: Candy, Iveco, Tacchini». Ma soprattutto era italiano il gommista: Pirelli, tornata appositamente nelle corse.
Ecco Senna «Le gerarchie erano chiare – dice Giacomelli - io ero seconda guida, a Warwick andavano più set di gomme e all’occasione anche la mia auto. Non eravamo certo un top team: i problemi erano l’affidabilità e i cavalli, ne avevamo anche 250 in meno dei migliori». Eppure a fine 1983 sono arrivati i primi punti. Subito dopo gli addii di entrambi i piloti. Sostituiti dall’ex-motociclista Johnny Cecotto e da Senna. «A Senna – continua Giacomelli – inizialmente è andata la T183B, con cui avevo corso l’anno prima. Poi, a Montecarlo, ha avuto la 184 che avevamo iniziato a sviluppare. Era un mezzo migliore, ma non certo all’altezza di quelli di prima fascia». Eppure quel giorno, nel Principato, sotto un’acqua che faceva paura, Ayrton Senna, da 13° a 2°, e persino primo, ma retrocesso da una precedente bandiera rossa, iniziò la sua leggenda. E Toleman, con la squadra che sarebbe durata solo un altro anno, ha trovato un posto nella storia.