La Gazzetta dello Sport

0. J. ADDIO

SIMPSON LA FUGA CHE HA DIVISO L’AMERICA LA CORSA È FINITA

- Di Filippo Conticello

Accusato di aver ucciso la moglie e un amico, il suo arresto in diretta fermò gli Usa. L’assoluzion­e, la condanna civile e il carcere

Raccontano che nella storia di Orenthal James Simpson ci sia stata sempliceme­nte l’America. Talentuosa, rabbiosa, buffa, violenta, contraddit­toria, provocator­ia. Sempliceme­nte l’America. L’esistenza estrema di O.J.,campione di tutti e di nessuno, è diventata un manuale per leggere un Paese eternament­e diviso. Simpson è morto ieri a 76 anni dopo mesi di battaglia contro un tumore alla prostata, l’annuncio in un tweet gelido della famiglia: si è così definitiva­mente fermata una corsa infinita per sfuggire ai tanti placcaggi della vita. O.J., in fondo, non ha fatto altro che correre. Anzi, scappare. Da bambino del ghetto, pure un po’ rachitico, scappava dalle gang rivali di San Francisco. Da poderoso running back sui campi di football scappava dai difensori fino al touchdown. Nella vita privata è poi fuggito via dallo sport per entrare da attore nero in una Hollywood abitata da bianchi. Ma la fuga più memorabile di O.J. Simpson è stata quella diventata reality show, cinque giorni dopo l’omicidio della moglie, Nicole Brown, ex cameriera (bianca) conosciuta in un ristorante, e dell’amico di lei, Ron Goldman. Furono massacrati a coltellate, quasi decapitati, il 12 giugno 1994 davanti alla porta di casa a Los Angeles. L’accusato non poteva che essere il marito già più volte segnalato per percosse e violenza domestica: proprio lui, la leggenda del football famosa anche nel cinema.

Reality Pareva la classica tragedia della gelosia ma, anziché consegnars­i, Simpson iniziò a scappare, come la vita e il football avevano insegnato. Finì così in diretta sulle tv d’America, chi stava vedendo la cerimonia di apertura del mondiale di Usa ‘94 cambiò canale: sembrava un film poliziesco sulle strade della California, ma era realtà. L’amico d’infanzia, Al Cowlings, al volante di una Ford Bronco e dietro c’era proprio O.J. con una pistola puntata alla testa e le foto dei figli in mano. Uno show che da lì in poi fece la fortuna di Cnn e Fox, assieme al processo successivo seguito ogni secondo con voracità mai vista prima (e vista molto spesso dopo): Simpson ha avuto grande influenza nello sport, ha orientato la cultura di massa, ma ha cambiato per sempre pure i media.

Il guanto Quando era alla sbarra gli americani non avevano impressa solo l’Nfl in maglia Buffalo Bills, ma anche il sorriso in tv, il Saturday Night Live, i commenti dei match di football e pure le pubblicità strapagate come quella famosa della Hertz. Correva anche lì, che strano. Pare che per rimanere fedele alla sua immagine bonaria, rifiutò il ruolo del cattivo di Terminator e James Cameron poi scelse Arnold Schwarzene­gger. Le cose si sarebbero, però, rovesciate nel processo più celebre della storia d’America, diventato materiale per serie e docu di successo. Grottesco per le modalità, per i tempi e per il verdetto di assoluzion­e, fu vissuto come uno psicodramm­a collettivo. In quella saga giudiziari­a durata otto mesi c’erano gli Stati Uniti allo specchio: ben al di là del caso (abbastanza chiaro), ben visibili le ferite di un popolo. Di qua i bianchi colpevolis­ti, di là i neri innocentis­ti. Una giuria composta in maggioranz­a da afroameric­ani, alla fine, accettò la tesi dei difensori, tra cui Robert Kardashian (il padre di Kim e delle sue sorelle), secondo i quali Simpson sarebbe stato incastrato da poliziotti razzisti. Il momento decisivo quando il guanto trovato vicino al luogo dell’omicidio non entrò nella manona di O.J. If it doesn’t fit, you must acquit (“se non entra, dovete assolverlo”): la frase usata nell’arringa finale è entrata nel lessico americano.

In galera Nel 1997 O.J. tornò davanti alla giustizia, ma in una causa civile: stavolta, a maggioranz­a, fu considerat­o responsabi­le dei due omicidi e condannato a versare 33,5 milioni di dollari alle famiglie Goldman e Brown. Ne pagò solo una minima parte durante la nuovo vita che provò a rifarsi. Passò dalla California alla Florida per scappare dai riflettori, ma sempre in cerca di denaro e di un campo di golf in cui fare due buche. Quando nel 2006 provò a vendere un libro dal titolo che era tutto un programma, “If I did it” (“Se l’avessi fatto davvero”), la reazione del pubblico fu furibonda. In tanti hanno gioito nel vederlo in tuta arancione in cella dopo la sua strana irruzione in una stanza d’hotel di Las Vegas nel 2007. Disse di volersi solo riprendere vecchi cimeli rubati, ma fu condannato per rapina a mano armata e sequestro di persona. Dopo aver scontato 9 dei 33 anni, è tornato libero nel 2017, ma l’aria attorno a lui era sempre la stessa. Chi lo vedeva come una vittima del sistema, chi come una furba celebrity capace di farla franca nel più terribile dei delitti: impossibil­e l’accordo nel cuore dell’America, bastava leggere i commenti sotto a un suo tweet sul Superbowl per capirlo. In realtà, la corsa era finita: da tempo O.J. aveva smesso di scappare.

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3 O.J. a processo mostra i guanti, troppo stretti per essere utilizzati nel commettere l’omicidio
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4 La foto segnaletic­a dopo l’arresto.

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