Corriere della Sera - La Lettura
La tavolozza degli insetti
Il critico Ernst Gombrich diceva che «l’arte non copia la natura, la suggerisce». Non deve pensarla così Damien Hirst: nel suo lavoro la natura non viene solo copiata, bensì clonata. Squali, zebre, pecore — ma anche formiche e insetti, come nella composizione qui sopra — diventano elementi costitutivi dell’opera: una tavolozza variegata cui l’artista attinge senza limitazioni. Signora mia, non diciamo che l’arte contemporanea è troppo astratta e non rappresenta più la natura? Bene, Hirst risponde in modo ironico e pop: a metà degli anni Ottanta prende uno squalo, lo immerge in formaldeide e lo espone. La natura torna sulla scena, ballando su una linea sottile che attraversa la vita e la morte (proprio Hirst ha dichiarato più volte di amare il lavoro con determinate specie animali — quali insetti e pesci — che hanno la capacità di sembrare vivi quando sono morti e morti quando sono vivi). Il risultato non è una resurrezione ma un’immagine senza tempo, una sorta di ready-made biologico che ci impone una riflessione sul rapporto naturaleartificiale, vita-morte. E che, depurato di quegli aspetti pop ormai datati, potrebbe essere fecondo di ispirazioni per il futuro — un’epoca in cui i confini tra vita naturale e vita artificiale si stanno assottigliando e in cui l’artista potrebbe iniziare a comporre non solo con insetti stecchiti ma con sequenze di Dna: la tavolozza della vita.